Che cosa resta dell’umano oggi?

Che cosa resta dell’umano oggi?

Sabato mattina, 16 maggio 2015, a partire dalle ore 9.00 nel Salone Vanvitelliano di Piazza della Loggia si terrà la tavola rotonda dal tema: “Che cosa resta dell’umano oggi?”. In tal modo l’Accademia Cattolica di Brescia intende concludere un anno di lavoro dedicato al rapporto fra le scienze e l’uomo. Interverranno lo storico della scienza, Prof. Massimo Bucciantini dell’università di Siena, la psicoterapeuta Dr.ssa Aurelia Galletti, Past-President di Ariele Psicoterapia (Brescia), l’antropologo Prof. Francesco Remotti dell’università di Torino e il teologo Prof. Antonio Autiero, emerito dell’università di Münster. L’interrogativo proposto per il dibattito può apparire strano. Le scienze non sono una creazione dell’uomo stesso? Non sono dunque un potenziamento dell’umano contro ciò che è negativo, contro i pericoli, le malattie, la morte? Non hanno forse portato a un innalzamento considerevole dell’aspettativa di vita e delle condizioni esistenziali?

Forse non è un caso che nel secolo scorso, in occasione delle due guerre mondiali, si siano levate voci contro il potere fornito all’uomo dalla scienza. Nell’autunno del 1917 il sociologo e teorico della secolarizzazione, Max Weber, invitato a Monaco dagli studenti disorientati, tenne una conferenza dal titolo: “La scienza come professione”. Rispetto alle prospettive belliche e ai rivolgimenti politici egli li esortò ad appassionarsi ai problemi scientifici fino a vedere in essi il “destino della propria anima”. Tuttavia ammise che nei tempi moderni la scienza aveva cambiato significato: non prendeva più posizione sui valori, ma si limitava a stabilire procedure valide. Si era dunque profondamente intrecciata con la tecnica. I problemi umani rimanevano ad di là e, rispetto ad essi, forse occorreva uno sguardo profetico e chiedere: “Sentinella, quanto resta della notte?”. La sentinella però rispondeva: “Verrà il mattino, ma è ancora notte. Se volete domandare, tornate un’altra volta”. Il buio, la guerra, la distruzione su ampia scala sarebbero durati ancora un anno e avrebbero lasciato l’uomo più spaesato che mai. Verso il termine di “Niente di nuovo sul fronte occidentale” Erich M. Remarque, dopo aver descritto l’annientamento fisico e morale vissuto da un’intera generazione di giovani in una “obbedienza incolpevole” volta a uccidersi a vicenda, si scaglia contro “i più acuti intelletti del mondo”, impegnati a “inventare armi e parole” perché la distruzione si perfezionasse e durasse più a lungo”. È proprio vero che la scienza si occupa solo di procedure e non di valori? È proprio vero che essa prescinde dai fini ultimi dell’uomo? A ridosso della seconda guerra mondiale la questione riaffiorò in Husserl e in Heidegger. Nel volume dei “Quaderni neri” del 1939-1941, pubblicato l’anno scorso, Heidegger riflette continuamente sul ruolo tragico della tecnica prevedendo che essa finirà per “far saltare all’aria la terra” e per far scomparire l’attuale umanità, una previsione che Italo Svevo aveva già fatto dopo la prima guerra mondiale a proposito dell’“occhialuto uomo”. Eppure la scienza non è solo tecnica, è anche contemplazione, apertura alla verità. Essa non può rimanere indifferente ai destini dell’uomo. Nei precedenti incontri sulla matematica, sulla fisica, sulle neuroscienze, sulla medicina è riaffiorata l’esigenza di porre al centro l’uomo. Che cosa resta dunque dell’umano oggi? Sarà utile sentire Massimo Bucciantini, esperto della rivoluzione galileiana e dello spirito umanistico che l’ha animata. Sicuramente una riflessione sulla psicoterapia da parte di Aurelia Galletti porterà al di là delle procedure e al di là delle convenzioni culturali, come già Freud nella sua maturità aveva chiesto. D’altro canto il pericolo di illusorie esaltazioni e divinizzazioni dell’uomo sarà messo in luce da Francesco Remotti col suo sguardo sull’antropologia culturale. Infine la necessità di recuperare l’umano come orizzonte di senso sarà illustrata da Antonio Autiero nell’ambito della teologia morale. Come progredendo l’individuo torna a interrogarsi sulla sua origine e sul suo essere, così l’uomo dell’era informatica non può dimenticare se stesso.

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