• Individualismo e desiderio di legami

2018 - 2019 - INDIVIDUALISMO E DESIDERIO DI LEGAMI

Individualismo e desiderio di legami

OBIETTIVI FORMATIVI

Non è difficile constatare la fragilità dei legami che si moltiplicano, ma perdono stabilità. Di questo fenomeno pare vi siano due ragioni: la prima di carattere affettivo-emotivo, cioè la ricerca di legami prevalentemente gratificanti; la seconda di carattere culturale, ossia la difesa dell'individuo nella sua libertà di fronte alla massificazione.

Qui si potrebbe vedere l'ombra lunga del pensiero moderno, in particolare di quello inglese (Hobbes e Locke), che ha ispirato la strutturazione delle democrazie occidentali, oltre che l' economia di mercato e la difesa strenua della proprietà privata. In tal senso la prospettiva di Hobbes non è stata solo programmatica, ma pure profetica.

L'esito pare essere una specie di eterogenesi dei fini: l'individuo lasciato a se stesso appare sempre più indifeso e tende, da una parte, a erigere barriere difensive sempre meno porose, dall'altra, a chiedere protezione alle istituzioni politiche sollecitate a salvaguardare non il bene comune, bensì quello degli individui, che si associano prevalentemente per far valere i propri interessi.

Da qui non solo l’attenuarsi del senso di solidarietà, ma anche la crisi delle democrazie occidentali con ricadute nell’ambito politico e sociale, economico e culturale, etico e giuridico, istituzionale e comunitario.

Come antidoto all’individualismo e al liberismo è opportuno riprendere la visione solidaristica della nostra Costituzione e riflettere sulla persona come entità costituita dalle relazioni. Anche la Chiesa dovrà essere ripensata come luogo di educazione ai legami fondamentali. Il corso è strutturato sull’anno accademico 2018/2019 in 11 conferenze interattive.

DESTINATARI

Il ciclo di incontri, gratuito ad accesso libero, è rivolto a tutte le persone interessate, accreditato ECM per l’area sanitaria. Ai docenti verrà rilasciato un attestato di partecipazione valido ai fini consentiti dalla legge.


10
Ott
2018

Faust, mito dell’individualismo moderno - Lucia Mor

Mercoledì 10 Ottobre 2018 - 17:45
Faust, mito dell’individualismo moderno - Lucia Mor

Prof.ssa Lucia Mor
Professore Ordinario di Letteratura tedesca
Facoltà di Scienze linguistiche e letterature straniere
Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia

07
Nov
2018

Al principio stanno le relazioni - Adriano Fabris

Mercoledì 07 Novembre 2018 - 17:45
Al principio stanno le relazioni - Adriano Fabris

Prof. Adriano Fabris
Professore Ordinario
Dipartimento di Civiltà e Forme del Sapere
Università di Pisa

«Al principio c’è la relazione» – afferma Buber in L’io e il Tu. Non è chiaro tuttavia se egli è consapevole fino in fondo della paradossalità di quanto afferma, almeno rispetto alla concezione che del “principio” ha elaborato la tradizione. Infatti, a ben vedere, fare della relazione il principio significa porre all’origine ciò che invece sta nel mezzo. Significa porre come principio il medio, porlo prima di ciò che media. Significa cioè assumere un’impostazione alternativa rispetto a quella predominante in filosofia: per la quale il principio è uno, unico e unitario, e da esso fuoriesce non solo la relazione con altro, ma, il più delle volte, quell’altro stesso a cui la relazione lo collega.

Partire dalla relazione, intendendola come principio, è dunque un gesto paradossale, controcorrente, che va pensato e approfondito come tale. Il principio è qualcosa di assoluto, certamente. Ma è anche qualcosa di già relazionale, nella misura in cui è principio di qualcosa. Bisogna far sì che venga ribadito il suo primato, in quanto si tratta di un principio, ma lo si può fare solo con riferimento a ciò di cui esso è principio: a ciò da cui, in questa sua qualifica, finisce per dipendere.

Se vogliamo pensare la relazione come principio ci troviamo di fronte, dunque, ad alcune difficoltà di carattere teorico. Non sembri tuttavia che tutto ciò risulti troppo astratto. La necessità di ripartire dalla relazione, di ripensare cioè l’essere umano a partire dalla relazione stessa, è infatti una necessità sempre più avvertita oggi: in un tempo in cui le forme di aggregazione relazionale e le modalità d’interazione sociale sono ampliate e potenziate dagli apparati tecnologici.

Come uscire dunque da queste difficoltà? Sarà questo il tema della conversazione. Si cercherà di affrontarlo con un approccio certamente filosofico, ma sempre in stretta connessione con l’esperienza quotidiana.

05
Dic
2018

Società post-industriale e fragilità delle relazioni - Mauro Magatti

Mercoledì 05 Dicembre 2018 - 17:45
Società post-industriale e fragilità delle relazioni - Mauro Magatti

Prof. Mauro Magatti
Professore Ordinario Dipartimento di Sociologia
Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

La cornice della nostra vita sociale è ormai irrimediabilmente cambiata: dall’euforia della crescita illimitata siamo passati all’angoscia della recessione e della violenza. Un cambiamento da prendere molto sul serio se, come ha scritto F. Neumann — grande studioso del nazismo — nelle moderne società di massa è proprio l’angoscia il movente principale per la formazione di regimi autoritari. È questa l’eredità più impegnativa della fine del neoliberismo: riconsegnarci alla necessità di affrontare il nostro futuro comune in una condizione storica radicalmente trasformata. Come ha scritto L. Summers sul Washington Post, l’alchimia neoliberista, che aveva tenuto insieme liberalismo e democrazia, è ormai saltata. E poiché le più recenti proiezioni parlano di un «futuro giapponese» a livello planetario, dobbiamo sapere che la divaricazione tra gli orientamenti elettorali e le esigenze dei mercati è destinata solo ad aggravarsi. Di fronte a questa nuova situazione, i sistemi politici si vanno ristrutturando attorno a due diagnosi opposte che però convergono nel mettere in discussione la democrazia.

La prima posizione sostiene che per contrastare i diversi fronti della crisi occorre gestire ancora più tecnicamente la cosa pubblica. Può essere la decisione di sospendere le libertà per garantire la sicurezza nelle città. Oppure la necessità di governare i mercati finanziari. La macchina complessa della nostra società ha bisogno di esperti e istituzioni in grado di decidere in modo efficiente. Il problema qui è il popolo, ignorante e bizzoso. La seconda diagnosi ritiene, al contrario, che il caos in cui ci troviamo sia la conseguenza della usurpazione del potere da parte delle tecnocrazie. La soluzione sta allora nel tornare al popolo che si ritrova attorno alle parole di un qualche leader e ai suoi richiami al bisogno di appartenenza. Attorno al tema della sicurezza, forse si ricostruisce la nazione, certo non lo Stato. E si rischia di virare verso forme di democrazia illiberale. Ricordiamoci allora la lezione di Tocqueville: la democrazia è destinata ad andare incontro a nuovi problemi nel momento della sua vittoria. E questo perché la potenza che essa attiva dal proprio interno apre questioni che è ben lontana dal saper risolvere. Tradotto nel linguaggio della tradizione democratica, ciò significa che — oggi come nel passato — il «potere del popolo» — ciò che legittima la democrazia — è un obiettivo destinato a sfuggirci dalle mani, come una chimera che sta sempre all’orizzonte.

La verità è che neoliberismo e globalizzazione hanno costituito una società dipendente dal benessere e dalla crescita. Come ha scritto in questi giorni l’archistar Rem Koolhaas, «negli anni 60 abbiamo reclamato i valori dell’uguaglianza, della libertà, della fraternità. E poi li abbiamo cambiati in quelli del benessere, della sicurezza, della sostenibilità». Tenere insieme una democrazia capace solo di parlare di diritti in un contesto economico di bassa crescita e in un quadro internazionale disordinato e carico di violenza è il problema che abbiamo davanti. Sperare di ritornare nel più breve tempo possibile a un contesto favorevole è legittimo. Ma non si può non sapere che si tratta di una speranza assai malferma. Oppure possiamo guardare in faccia le questioni che ci accompagneranno nei prossimi anni cercando un antidoto all’assedio dell’angoscia e al suo potenziale distruttivo. Ciò significa tornare a capire che, pur rimanendo fondamentali, crescita e benessere individuale non possono più prescindere dal contesto (sociale, economico, istituzionale) circostante. Ma per realizzare questo salto, che è prima di tutti culturale, abbiamo bisogno di soggettività capaci di declinarsi non più solo in termini di diritti ma anche di responsabilità. Perché è oggi più che mai chiaro che non ci può essere libertà senza responsabilità, né diritti senza doveri. E questo vale per tutti i gruppi sociali (ricchi e poveri, nativi e immigrati) ma in modo particolare per le elite.

09
Gen
2019

Trasformazione e crisi delle relazioni familiari - Giancarlo Tamanza

Mercoledì 09 Gennaio 2019 - 17:45
Trasformazione e crisi delle relazioni familiari - Giancarlo Tamanza

Prof. Giancarlo Tamanza
Professore Associato Dipartimento di Psicologia
Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia

La comprensione delle trasformazioni che la famiglia sta affrontando richiede, in via preliminare, la messa a fuoco della sua identità. Che la famiglia sia un’organizzazione di relazioni, come il titolo suggerisce, non è scontato per molta parte della ricerca psicologica contemporanea. Non è però neppure sufficiente, in quanto occorre precisare la specificità di queste relazioni. La prospettiva clinico-relazionale, a differenza di molta parte della “psicologia scientifica” e del senso comune, non circoscrive tale specificità alle dimensioni dell’affettività e dell’espletamento delle funzioni primarie di accudimento, ma considera la famiglia come il dispositivo costitutivo dell’identità personale, nell’intreccio strutturale delle differenze proprie della realtà umana: la differenza di genere e di generazione.

In questa prospettiva le trasformazioni che oggi riguardano la famiglia sono di due ordini differenti. Da un lato la famiglia è continuamente impegnata in un processo trasformativo che, pur provocando cambiamenti e crisi, non mette in discussione l’identità del “famigliare”. Dall’altro, e questa è la novità radicale con la quale oggi ci confrontiamo, ci sono trasformazioni che vanno oltre il fisiologico processo trasformativo ed evolutivo portando alla mutazione dell’identità stessa della famiglia.

Le possibilità aperte dalle nuove tecnologie riproduttive (in particolare la fecondazione eterologa) determinano infatti un cambiamento di paradigma. Rendono cioè possibile un modo nuovo e strutturalmente differente di realizzare la funzione distintiva della famiglia, vale a dire la funzione generativa. Tali modalità di accesso alla genitorialità, infatti, eccedono la struttura e l’identità della famiglia così come fino ad oggi l’abbiamo conosciuta poiché vanno oltre l’intrinseca e necessaria connessione tra i due assi che strutturano l’organizzazione familiare (relazione di coppia e relazione generazionale). In perfetta sintonia con il “carattere narcisistico” che segna così pervasivamente la nostra cultura e società ciò amplifica, nella percezione e nel sentimento, l’inconsapevole e regressiva prevalenza del desiderio individualistico che porta a considerare come un diritto indiscutibile l’immediata soddisfazione di ogni desiderio. Si tratta, con tutta evidenza, di una posizione illusoria, che si sostiene proprio mettendo sullo sfondo, se non addirittura rimuovendo, la connessione originaria e costitutiva tra la soggettività e la relazione, soprattutto per gli aspetti di vincolo e di limite che essa comporta.
Prof. Giancarlo Tamanza

30
Gen
2019

L’avventura. Arte come empatia e relazione tra XX e XXI secolo - Ilaria Bignotti

Mercoledì 30 Gennaio 2019 - 17:45
L’avventura. Arte come empatia e relazione tra XX e XXI secolo - Ilaria Bignotti

Prof.ssa Ilaria Bignotti
Dottore di Ricerca
Teorie e Storia delle Arti
Università Iuav di Venezia

In un’epoca quale quella attuale, postindustriale e digitale, caratterizzata da un lato da una sempre più drammatica tendenza all’isolamento dell’individuo e al suo sdoppiamento virtuale, dall’altro da una profonda ridiscussione delle geografie sociali e culturali, l’arte contemporanea può ancora essere l’ultimo atto di fiducia, e di speranza, dell’uomo del XXI secolo.

La conferenza prova a tracciare un percorso nel quale dimostrare come, nella loro complessa eterogeneità e interdisciplinarietà, i linguaggi artistici siano, oggi più che mai, non solo in grado di visualizzare conflitti, tensioni, drammi e violenze, e di porre domande e questioni sui fondamenti della vita, ma anche di mettere in crisi una visione ego-riferita, individualistica e ineluttabilmente perdente, offrendoci la possibilità di uno scambio, la speranza di un dialogo, la promessa di una relazione tra gli uomini e le culture, in un rinnovato e rigenerante incontro dell’io con l’altro.

Partendo dal secondo dopoguerra, un momento fondamentale nel quale gli artisti ridiscutono da un lato l’eredità delle avanguardie storiche, dall’altro riaffermano con forza e pregnanza il loro ruolo all’interno della società, la conferenza si sviluppa in un percorso articolato in tre sezioni, cronologicamente distinte ma intrecciate, dedicate alle arti visive dal secondo dopoguerra alla fine degli anni Sessanta, da Lucio Fontana a Mark Rothko, da Barnett Newman ad Anselm Kiefer; agli anni Settanta, fino ai Novanta, da Marina Abramović a Zhang Huan; ai primi passi del XXI secolo, da Bill Viola a Adrian Paci, unendo alle tracce iconografiche spunti di riflessione filosofica sui temi dell’esperienza, empatia, resilienza e sui parametri di prossemica e distanza.

A tal proposito, il concetto di “avventura”, con chiaro riferimento alla nota pellicola del 1960 di Michelangelo Antonioni, apre provocatoriamente e accompagna l’intervento, parlando del primo dei tre film che il regista dedica al tema della incomunicabilità: un aspetto cruciale del nostro tempo, visualizzato e analizzato dalle opere selezionate nella conferenza, che proprio perchè nate dall'uomo, trattano del suo essere in relazione con l'altro; e al contempo, come la parola "avventura" etimologicamente ci suggerisce, tali immagini dichiarano come l’arte sia ancor oggi medium, transito, viatico necessario per superare una dimensione egoistica e sterile ed entrare in una reale empatia con l’altro.

Un percorso che richiede, tanto per l’artista quanto per lo spettatore, sempre più chiamato ad essere attivo fruitore dell’opera, un vero e proprio viaggio di formazione quale imprescindibile occasione di riconoscimento e ritrovamento dei valori di solidarietà, bellezza, spiritualità: un viaggio che contempla l’isolamento necessario per la concentrazione, l’attesa e l’esitazione alla base della scelta e dell’azione, il silenzio che precede la parola, la rinuncia che annuncia l’incontro. Arte, dunque, come metaforica visualizzazione e fondamento dell’avventura piena ed irrinunciabile della vita.

Gli artisti, le opere

La prima sezione affronta l’avventura dell’opera che si estende nello spazio, diventa ambiente, contenitore di relazioni, tra prossemica e distanza: necessario l’avvio con il noto Ambiente a luce nera di Lucio Fontana del 1949, tra le prime esperienze di “luogo” di esperienza e di riflessione sulla propria solitudine, nell’incontro possibile con l’altro, come lo stesso Fontana rileggeva nel 1961, scrivendo a Enrico Crispolti.

Da Fontana a Rothko, da Barnett Newman ad Anselm Kiefer, da Paolo Scheggi a Ugo La Pietra, le immagini dimostrano come, nel superamento bidimensionale dell’opera, verso la sua estensione ambientale, gli artisti offrano luoghi visuali ed emozionali dove fare esperienza di sé, immergersi nel proprio io per emergere in un confronto con l’altro arricchito, anche della solitudine.

Dall’ambiente come luogo costruito, più o meno indirizzato, di esperienza, empatia e relazione, al corpo come zona franca di sperimentazione: le azioni di Marina Abramovič compiute con Ulay discutono i confini e i limiti dell’io rispetto all’altro, del dare e dell’avere, del donarsi e del ricevere: ora attraverso la perdita delle certezze acquisite e dei limiti imposti, ora con la possibilità di entrare, empaticamente, nella pelle dell’altro, mediante il gesto, l’azione, l’intervento fisico e l’esperienza. Un percorso che diversamente viene compiuto, e offerto allo spettatore, anche da altri artisti, da Louise Bourgeois a Sophie Calle a Zhang Huan.

Con questi autori si apre il terzo percorso, che prova ad indagare, in questa direzione, il conflitto tra civiltà e culture differenti, la migrazione, la transculturalità, attraverso le indagini di Doris Salcedo, Adrian Paci e Bill Viola. Se in Turn On, uno dei video più toccanti dell’artista albanese, l’accensione di una lampada per ogni volto di lavoratore disoccupato mette in luce una attesa di incontro che non è, solamente, mero aiuto, ma richiesta di empatia e ascolto, la citazione dell’antico, l’indagine sulle passioni, dalla tragedia greca a Charles Le Brun, e l’uso altissimo di ombra, luce, diafano e trasparenza in Bill Viola sono strumenti straordinari per offrire all’uomo del XXI secolo, attraverso l’emozione visuale, un percorso di formazione che lo porti a un rinnovato incontro con il proprio credere e sentire – nella piena, empatica condivisione con l’altro.

09
Feb
2019

Al letto del malato: la cura della relazione - Ottavio Di Stefano, Gian Luca Favetto, Sonia Tosoni

Sabato 09 Febbraio 2019 - 9:15
Al letto del malato: la cura della relazione - Ottavio Di Stefano, Gian Luca Favetto, Sonia Tosoni

Dr Ottavio Di Stefano
Presidente Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Brescia

Dott Gian Luca Favetto
Scrittore e Giornalista

Dott.ssa Sonia Tosoni
Infermiera Coordinatrice di Area
Dipartimento CardioVascolare
Fondazione Poliambulanza Brescia

In un percorso durante il quale si discute di individualismo e di desiderio di legami, poteva forse mancare il mondo della medicina? Probabilmente nessun luogo più dell’ospedale, e della malattia che esso accoglie, soffre del protagonismo del singolo, della sua lontananza, della mancanza di legami che siano saldi, robusti e generosi. Legami tra chi ha il potere di erogare una cura e chi, debole, la invoca. Ovunque, oggi, le relazioni sono fragili, e ciò induce al pensiero che la fragilità della persona malata renda ancor più difficile il rapporto con l’altro. Un altro che si vuole sia disponibile, capace e buono. E non sempre è così, il mondo della malattia è spesso vittima di ciò che i linguisti chiamano “comunicazione diseguale”, una comunicazione tra persone di potere diverso, che usano – o invocano – linguaggi differenti, molto tecnici e poco umani, linguaggi che allontanano anziché avvicinare, sentenze piuttosto che dialoghi.

Che si stia attenuando il senso di solidarietà è manifesto, e la sacrosanta idea della persona come entità fatta di relazioni spesso è contraddetta da quanto avviene in una stanza d’ospedale, in un Pronto Soccorso, in un ambulatorio medico. Questi sono i luoghi dove la persona rischia di perdere la propria identità, e lo fa nel momento in cui viene rivestita soltanto da quella della malattia. Non succede forse di sentir dire dell’infarto del letto 3b, o della mammella da operare, dell’ematoma da chiamare perché sia evacuato?

In Poliambulanza, il 9 febbraio, si parlerà di questo, e a farlo saranno il dr Ottavio Di Stefano, presidente dell’Ordine dei medici, la dottoressa Sonia Tosoni, coordinatrice infermieristica, il dr Gian Luca Favetto, scrittore e poeta torinese. Dialogheranno tra loro, lo faranno col pubblico, e magari con qualche paziente curioso che si siederà con noi.

27
Feb
2019

Ricostruire le relazioni: una prospettiva psicoanalitica - Leonardo Resele, Laura Ambrosiano

Mercoledì 27 Febbraio 2019 - 17:45
Ricostruire le relazioni: una prospettiva psicoanalitica - Leonardo Resele, Laura Ambrosiano

Dr Leonardo Resele
Psichiatra e Psicoanalista SPI

Dott.ssa Laura Ambrosiano
Psicologa, Psicoanalista
Dipartimento di Psicologia Università degli Studi di Torino

Il narcisismo è diventata una parola di moda, abusata nel linguaggio comune: la si confonde con egoismo, egocentrismo, individualismo, ed è usata quasi sempre in senso negativo. E’ dunque utile cercare di chiarire il termine che ha un suo significato preciso nella psicanalisi, a partire da Freud con il suo libro “Introduzione al narcisismo” del 1914.

Ma perché si parla tanto di narcisismo?

In effetti diversi tratti narcisistici, cioè modalità di comportamento diffuse tra persone riconosciute clinicamente con disturbo narcisistico della personalità, si sono ampiamente diffusi nelle società occidentali, tanto che qualcuno parla di epidemia narcisistica.

Le prime avvisaglie sono state segnalate da Christopher Lasch (“La cultura del narcisismo”, bestseller dal 1979) e da Richard Sennett (“Il declino dell’uomo pubblico”, del 1974), entrambi ancora riferimenti per chiunque voglia riflettere su questo fenomeno.

Sono due le scienze umane che hanno tra i loro oggetti di studio il narcisismo, con prospettive e strumenti mentali differenti: 1. La psicanalisi, che studia i meccanismi della psiche individuale che producono questi fenomeni; 2. La sociologia che questi fenomeni studia a livello collettivo, per quanto attiene sia alle cause sia agli effetti.

La psicanalisi studia i processi mentali, basandosi anche sulle esperienze degli analisti nell’attività terapeutica. La sociologia cerca invece di individuare le influenze sociali e culturali sugli individui che facilitano o inducono i tratti narcisistici.

Dopo la visione sociologica del prof. Magatti, gli psicanalisti Leonardo Resele e Laura Ambrosiano, membri della SPI (Società Psicoanalitica Italiana, di cui il primo è anche membro dell’Esecutivo Nazionale e della Commissione Deontologica e la seconda è anche psicoanalista con funzioni di training della SPI e dell’IPA, con diverse pubblicazioni presso Bollati Boringhieri, Borla e Cortina) introdurranno alla comprensione del narcisismo negli individui e dei possibili effetti nel comportamento sociale.

13
Mar
2019

Il sistema politico specchio della frantumazione sociale - Michele Nicoletti

Mercoledì 13 Marzo 2019 - 17:45
Il sistema politico specchio della frantumazione sociale - Michele Nicoletti

Prof. Michele Nicoletti
Professore Ordinario Dipartimento di Lettere e Filosofia
Università degli Studi di Trento

La società appare frantumata da una dominante paura che potremmo definire come la paura di essere spossessati di sé, paura di essere in mano di altri: la tecnica, la burocrazia, la politica corrotta, i mercati internazionali, l’Europa, il riscaldamento globale, le ondate migratorie. Di qui un timore diffuso e un generale ripiegamento volto a proteggersi dall’esterno e a custodire una qualche forma di sé: il sé personale, familiare, tribale, nazionale, nella convinzione che il mondo e la storia ce lo vogliano portare via e che ormai noi, ognuno di noi, siamo in mano di altri. Di qui uno sguardo cupo e diffidente su ciò che ci circonda. La diffidenza sarebbe la reazione dominante a questa percezione: una diffidenza che colpisce le relazioni interpersonali ma, soprattutto, la compagine sociale e le sue istituzioni. Di qui la sfiducia verso ogni autorità, incapace di indicare una via d’uscita, e verso la democrazia rappresentativa. Di fronte a questa situazione un ruolo importante può essere svolto da una vigorosa riproposizione del principio di "auto-appartenenza", inteso come l'aspirazione delle persone e delle comunità a vedere rispettata la propria dignità e riconosciuta la propria originalità. Questo principio può servire come fondamento non solo per una prospettiva esistenziale della libertà e della relazionalità dell'individuo, ma anche per una visione della società basata sul rispetto dei diritti universali di base e una pratica democratica che si estende dal livello locale a quello europeo e globale.

10
Apr
2019

I «corpi intermedi» nella società liquida - Filippo Pizzolato

Mercoledì 10 Aprile 2019 - 17:45
I «corpi intermedi» nella società liquida - Filippo Pizzolato

Prof. Filippo Pizzolato
Professore Ordinario di Istituzioni di Diritto Pubblico
Università degli Studi di Padova

La nostra Costituzione, nel disegno originario del 1948, interpretava la democrazia, fondata sul lavoro, sulla partecipazione dei cittadini, singoli e associati, alla cura del bene comune. E il tessuto sociale era in effetti strutturato attorno a solide architetture di corpi sociali che, pur nella loro autonomia, trovavano nei partiti un terminale politico di riferimento. Quel modello di democrazia partecipativa non si è però mai realmente perseguito e si è andati piuttosto verso una idea di democrazia di investitura e della delega.

Anche oggi, di fronte alla crisi della mediazione rappresentativa, le vie ipotizzate non sembrano voler riprendere quel sentiero originario.

E anzi si diffonde una lamentela circa lo sfilacciamento della società. La metafora della società liquida comunica l'idea di relazioni fluide o magmatiche. Talvolta a questa lamentela si aggiunge quella della crisi della partecipazione. Ma è proprio così? Non si tratta piuttosto di prendere atto che la forma della società è cambiata? E con essa le forme della partecipazione? Non si tratta di ripensare le forme della democrazia in modo che accompagnino legami fragili a diventare soggetti attivi della cittadinanza?

08
Mag
2019

Il rovescio della libertà. Ascesa e tramonto del neoliberalismo Massimo De Carolis

Mercoledì 08 Maggio 2019 - 17:45
Il rovescio della libertà. Ascesa e tramonto del neoliberalismo Massimo De Carolis

Prof. Massimo De Carolis
Professore Ordinario Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione
Università degli Studi di Salerno

Con il termine "Neoliberalismo", o "Neoliberismo" si fa di solito riferimento alla fase storica iniziata negli anni '80, per impulso delle politiche di Margaret Thatcher in Inghilterra e di Ronald Reagan negli Stati Uniti.

Il tratto caratterizzante di tali politiche è stata la riduzione del ruolo del settore pubblico nell'economia, unita ad una crescente fiducia nell'efficienza e stabilità dei mercati. La crisi economica mondiale iniziata nel 2008 con il fallimento di Lehman Brothers, segno evidente di profondi squilibri strutturali, ha perciò portato molti commentatori a parlare di fallimento, o addirittura di fine, del Neoliberalismo.

Più recentemente, anche la crisi di rappresentanza delle democrazie occidentali, con la nascita in molti paesi di movimenti "populisti" o "sovranisti" contrari alla globalizzazione e all'apertura cosmopolita, è stata interpretata come ulteriore sintomo della fine dell'epoca neoliberale.

Per interpretare una crisi epocale non basta però descriverne gli effetti, è necessario cercare di approfondirne le radici intellettuali e culturali.

E' questa la sfida affrontata dal Prof. De Carolis nel libro "Il rovescio della Libertà", uscito da Quodlibet nel 2017.

L'autore evita le soluzioni facili, come quelle che individuano l'origine del Neoliberismo in una reazione conservatrice al movimento del '68, o nel ruolo dei "think tanks" nati in America negli anni '70 grazie a ingenti finanziamenti privati.

Se uno schema di pensiero riesce a diventare dominante nella teoria e prassi di tutto il mondo occidentale (e non solo), deve essere perché fornisce una risposta in qualche modo credibile e coerente a un problema sociale fondamentale.

Il pregio della ricerca di De Carolis sta proprio nell'aver preso il Neoliberismo molto sul serio.

Ricostruendo in modo rigoroso ed approfondito le origini del pensiero neoliberale a partire dagli scritti, fin dagli anni '30, di economisti, filosofi e sociologi principalmente di lingua tedesca, l'autore affronta tre domande fondamentali: a) quale sia il problema al quale il neoliberalismo cerca una risposta, b) quale sia la natura della risposta e quali le ragioni del suo successo, c) quale sia la contraddizione che oggi spinge fino a suggerire che l'epoca neoliberale sia giunta al suo termine.

Questi saranno anche i temi trattati nel suo intervento di venerdì 8 maggio.

Negli incontri organizzati quest'anno dall'Accademia le trasformazioni in corso nel rapporto tra individuo e società sono sono state scandagliate da diversi punti di vista (letteratura, arte, politica, psicanalisi).

Lo schema di pensiero neoliberale, che ha cercato di definire questo rapporto a partire da una contrapposizione netta tra coercizione/burocrazia e libertà/mercato, rappresenta sicuramente uno dei più influenti approcci al problema, con effetti profondi, diretti o indiretti, in ogni campo della vita sociale. Capire le ragioni della sua straordinaria influenza, e della sua crisi attuale, costituisce un tassello importante della ricerca proposta dall'Accademia.

29
Mag
2019

Ricostruire legami: l’arduo compito della Chiesa - Marco Salvioli

Mercoledì 29 Maggio 2019 - 17:45
Ricostruire legami: l’arduo compito della Chiesa - Marco Salvioli

Prof. Marco Salvioli
Docente Teologia Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano

Uno dei tratti dell’attuale passaggio d’epoca che sta riconfigurando le società occidentali consiste, secondo diversi analisti, nella progressiva dissoluzione del legame sociale. Si tratta di un effetto connesso con la radicalizzazione di quell’individualismo che ha accompagnato, fin dai suoi esordi, la proposta della ragione moderna. Assistiamo infatti oggi alla diffusione di quello che possiamo chiamare iper-individualismo, caratterizzato tanto dall’autoreferenzialità narcisistica del soggetto quanto dalla frammentazione dei corpi sociali. Può la teologia rimanere indifferente nei confronti di questa situazione socio-culturale? L’intelligenza critica della fede non ha forse nulla da dire rispetto ad una dimensione così decisiva dell’uomo come la qualità del legame sociale?

Il contributo che la teologia può offrire agli effetti dissolutivi dell’odierno iper-individualismo procede dall’assunto che le verità di fede contribuiscano alla comprensione della realtà, in vista di un suo sviluppo. In particolare, si tratta qui di compiere tre passi per illustrare come la Chiesa contribuisca, non senza difficoltà, alla ricostituzione del tessuto sociale o alla generazione di legami. Per inquadrare le coordinate all’interno delle quali la comunità ecclesiale esercita questo compito occorre, dapprima, mettere a fuoco come la Chiesa sia generata dal Dio unitrino e, a sua, volta cooperi a generare nuovi figli di Dio per grazia. Il secondo passo consiste nel portare alla luce, ricorrendo alla concezione paolina del Corpo di Cristo, come il tessuto sociale della Chiesa sia costituita da un intreccio di relazioni interpersonali che permettono di descriverla come “mistero di legami nel Legame”. La costituzione pastorale Gaudium et spes del Concilio ecumenico Vaticano II offre infine la chiave per riconoscere l’apporto culturale della Chiesa alla coesione della società nella quale essa si trova a vivere, a partire dall’esercizio della sua missione più propria. La presenza ecclesiale nella società, in forza della sua stessa costituzione, contribuisce quindi alla ricostruzione dei legami sociali rendendo possibile un’effettiva fraternità.

Bibliografia

  • C. Giaccardi - M. Magatti, Generativi di tutto il mondo unitevi! Manifesto per la società dei liberi, Feltrinelli, Milano 2014;
  • V. Paglia, Il crollo del noi, Laterza, Bari-Roma 2017;
  • M. Salvioli, La Chiesa generatrice di legami. Una risposta ecclesiologica ai limiti dell’individualismo liberale. In dialogo con S. Hauerwas, J. Milbank e W. T. Cavanaugh, Vita e Pensiero, Milano 2018.