• Individualismo e desiderio di legami

Una società senza verità?
Dall’ 8 ottobre 2025 al 27 maggio 2026

Da qualche tempo si parla di fake-news e della corrispondente esigenza del fact-checking. In questo termine appare paradossalmente l’idea che ci sia bisogno di essere garantiti sulla corrispondenza tra quanto viene comunicato e l’effettivo accadimento o fenomeno. Vale per la storia, per la scienza, per la politica, per la religione, per l’etica. Eppure sembra che al bisogno si contrapponga la presunzione di essere costruttori della verità: ogni persona, tendenzialmente, ritiene che la sua opinione possa essere riconosciuta come vera, tanto più se è condivisa (magari da una serie di distratti follower sui social), anche a prescindere dalle prove che si possono addurre. Sembra divenuto dominante l’asserto: «La verità non si “incontra”, ma si costruisce con il consenso e il rispetto della libertà di ciascuno».

Coerentemente, la verità non è corrispondenza ai fatti/fenomeni, ma è interpretazione. Solo procedendo in questo modo si rispetterebbe la libertà di ciascuna/o e quindi la vera democrazia. Sullo sfondo di questa visione pare stia la paura che la verità di qualcuno si trasformi in imposizione e quindi apra alle varie forme di imperialismo, sia esso culturale, etico, religioso o politico, che la storia ci ha fatto conoscere. La verità, nel caso esista, sarebbe invece frutto del consenso, ma in quanto tale sempre rivedibile. Osservando alcuni orientamenti del costume attuale si resta sorpresi nel constatare che in nome della passione per la libertà si tende ad aver timore della verità. In effetti, questa appare a molti come un vincolo che non permetterebbe di costruire la propria esistenza e di orientare le proprie scelte secondo il gusto e l’opportunità immediati; si configura infatti come normativa e quindi come coattiva, e quindi negatrice di libertà, intesa come assenza di vincoli e possibilità di scelte sempre revocabili. Libertà e verità vengono così percepite come contrastanti, fino a elidersi l’un l’altra.

All’origine della paura della verità sta certamente anche l’uso che è stato fatto di questa come giustificazione di imposizioni e di delitti. È ovvio però che la verità, pur apparendo in alcune circostanze esigente fino a chiedere la rinuncia a visioni troppo individuali, non è la fonte di imposizioni, tanto meno di delitti. Essa, infatti, “appare”, si mostra come un di più rispetto a ciò che fino a un particolare momento si è pensato/vissuto. Lo si riscontra in ogni processo di scoperta, in ogni ambito della vita personale o sociale; anche nell’ambito scientifico, nel quale però non c’è mai la certezza assoluta (ogni scoperta apre ad altre scoperte; benché alcune siano definitive: si veda, ad esempio, la terra piatta o sferica). La verità “appare” e si propone come schiusura di una ulteriorità, ed è grazia, dono che incontra il desiderio e perfino lo eccede. Di fronte a essa può sorgere sia lo stupore che il timore. Quest’ultimo è dato dal dubbio che lasciare il già noto introduca in un’avventura pericolosa, anzi minacciosa, rispetto alla quale ci si deve difendere.

È inevitabile che sorgano dubbio e timore: la verità è novità che si presenta alla mente e al cuore, i quali non sono ancora familiari a essa. Lo stupore invece nasce dal percepire che quanto si manifesta è il luogo della propria salvezza e quindi della propria libertà. Lo stupore tuttavia non è ancora adesione; è solo il primo passo. Man mano si procede nella scoperta, si percepisce che l’attrito tra verità e libertà tende a scomparire: la verità diventa l’orizzonte aperto nel quale la persona trova sé stessa oltre il già noto. Per questo la verità richiede un atteggiamento di fiducia, che è ascolto, accoglienza. È l’atteggiamento contrario alla presunzione di poter stabilire da sé (un sé individuale o collettivo) che cosa sia giusto, buono, vero. Detta presunzione, se divenisse programmatica, impedirebbe nuove acquisizioni in ogni ambito della vita sociale ed esporrebbe a restare soggiogati all’opinione di chi ha il potere di imporla. Dal potere, sia esso economico, politico o religioso, possono infatti attuarsi mistificazioni della verità a fini strumentali al potere stesso. Per questo la vita sociale ha bisogno di educazione critica alla verità, che comporta aiutare ad aprirsi all’ulteriorità e ad accogliere anche ciò che non è a propria misura. L’educazione suppone però riconoscere che la verità esiste e va scoperta in processi condivisi, capaci di unificare le persone. La verità è sinfonica e crea sinfonia. Le opinioni, quando non sono aperte alla ricerca della verità, creano distonie e contrapposizioni.

RESPONSABILE SCIENTIFICO
Prof. Mons. Giacomo Canobbio Direttore Scientifico Accademia Cattolica



10
Dic
2025

Damiano Palano - Il potere politico e la verità

Mercoledì 10 Dicembre 2025 - 18:00

Mercoledì 10 Dicembre vi aspettiamo alle 18:00, in Aula Magna Facoltà di Economia (UNIBS) Via San Faustino 74/b - Brescia, per la conferenza dal titolo “Il potere politico e la verità”, relatore Damiano Palano, Professore Ordinario di Filosofia Politica Direttore Dipartimento di Scienze Politiche Università Cattolica del Sacro Cuore Milano.

Damiano Palano

«Nessuno ha mai dubitato che verità e politica intrattengano rapporti piuttosto difficili, e nessuno ha mai annoverato la sincerità tra le virtù politiche. Le menzogne sono sempre state considerate strumenti necessari e legittimi, non solo per il politico e il demagogo, ma anche per lo statista». Così Hannah Arendt scriveva in Verità e politica, saggio nato dalla controversia seguita alla pubblicazione di Eichmann in Jerusalem, conosciuto universalmente per la formula della «banalità del male».

Il problema che Arendt solleva è precisamente al centro della conferenza: qual è il rapporto che lega la politica alla verità? Quale relazione si stabilisce tra pratiche politiche e verità?

Possiamo individuare due posizioni nettamente contrapposte, che attraversano tanto il dibattito pubblico contemporaneo quanto la lunga tradizione del pensiero politico occidentale.

La prima posizione sostiene che la politica debba ricercare la verità: solo la verità permette infatti di condurre un’azione politica adeguata, efficace e – soprattutto – democratica. Solo liberando lo spazio pubblico da menzogne, falsificazioni, pregiudizi e distorsioni sarebbe possibile un dibattito realmente razionale e ragionevole, capace di produrre non solo migliori performance politiche, ma anche maggiore giustizia ed equità.

La seconda posizione è molto più cinica, o se vogliamo più realista. Afferma che la menzogna in politica non solo non è un male, ma talvolta è necessaria: un «male indispensabile». Platone, nella Repubblica, chiamava «nobile» la menzogna che i sapienti potevano utilizzare per il bene della città. Nella tradizione del realismo politico – da Machiavelli fino ai teorici contemporanei della propaganda – il ricorso alla menzogna è spesso presentato come uno strumento legittimo e inevitabile del governare.

Queste due linee si ritrovano chiaramente nel dibattito attuale. Da un lato, i critici della post-verità, che chiedono una sfera pubblica trasparente, depurata da falsità e manipolazioni. Dall’altro, coloro che ritengono che ciò che conta, in politica, non sia la veridicità delle informazioni, bensì l’efficacia comunicativa, la capacità di orientare opinioni ed emozioni, anche attraverso narrazioni distorte.

La conferenza prende in esame queste posizioni, ne ricostruisce le basi e si interroga sulle ragioni per cui il nostro atteggiamento nei confronti della verità muta radicalmente quando entriamo nel campo politico. Possiamo fare a meno della menzogna in politica? Possiamo davvero immaginare che l’arena politica consenta l’accesso alla verità? Queste sono le domande che guideranno la riflessione, nel tentativo di sciogliere – per quanto possibile – quella «matassa intricata» che, come scriveva Arendt, rende il rapporto tra verità e politica così problematico.