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Tecnica e futuro dell’uomo secondo un neuroscienziato, un filosofo e un teologo

Tecnica e futuro dell’uomo secondo un neuroscienziato, un filosofo e un teologo

La nostra specie è prevalsa anche perché sa utilizzare il male per i suoifini meglio delle altre specie

La parabola della modernità può essere rappresentata dai colpi subiti, in campo filosofico, dal suo protagonista, il «cogito» cartesiano, l’«io penso, quindi sono» inteso come il fondamento dell’albero della conoscenza. Se con Darwin, Marx, Nietzsche e Freud il progresso del sapere ha significato uno spossessamento della centralità della coscienza (divenuta un epigono dal punto di vista evolutivo, una sovrastruttura sociale, una finzione morale, un momento secondario dell’apparato psichico), lo sviluppo delle neuroscienze sembra essere il quinto colpo inferto alla funzione dell’«io».

Negli ultimi tre decenni, con l’accelerazione delle scoperte neuroscientifiche sui processi cognitivi come risultati di sinapsi cerebrali, pare essere diventato dominante un paradigma scientifico secondo il quale «la coscienza è il prodotto della materia del cervello». Un paradigma insieme naturalista — tutto ciò che esiste è alcunché di empirico — e riduzionista: le costruzioni culturali sono in ultima istanza riducibili al lavoro del cervello. Un modello divenuto dominante in forza dello sviluppo tecnologico, che vive di questi due presupposti. Di qui l’interesse dell’incontro di mercoledì 30 maggio (aula magna dell’Università Cattolica di Brescia, ore 18) promosso dalla Accademia Cattolica di Brescia, e dal titolo: «Sviluppo tecnologico e futuro dell’uomo», con interventi di Arnaldo Benini, Emanuele Severino, Giacomo Canobbio. Un neuroscienziato, un filosofo e un teologo: le discipline più investite dalle domande in gioco. Arnaldo Benini — al quale si devono alcune delle più lucide presentazioni delle prospettive naturalistiche sul cervello (La coscienza imperfetta, Che cosa sono io, Garzanti) — oltre ad essere neurochirurgo e neurologo all’università di Zurigo, ha accompagnato la sua ricerca scientifica con riflessioni di fatto filosofiche su questioni classiche della metafisica, ad esempio lo scandalo del male nella vita umana. Uno scandalo da lui interpretato, con tratti quasi leopardiani, come inevitabile risultato dell’evoluzione del cervello: «La nostra specie è prevalsa anche perché sa utilizzare il male per i suoi fini meglio delle altre specie. Ciò avviene con meccanismi cerebrali evolutivi nella lotta, che trasmettono da una generazione all’altra una caratteristica, unica nella natura, di un’aggressività senza criteri e spesso senza profitto».

Emanuele Severino nei suoirecenti libri - in particolare in Cervello, mente, anima (Morcelliana) — s’è soffermato sulle difficoltà logiche del riduzionismo neuroscientifico - se la mente si riduce a cervello, viene meno la loro differenza che è il presupposto per la stessa riduzione — e ha mostrato come il capitolo «neuroscienze» sia un momento dello sviluppo del sapere scientifico, e del suo carattere ipotetico-deduttivo. Un carattere che, lungi dall’essere altro dalla filosofia, è il compimento della stessa teoresi filosofica contemporanea nella distruzione della credenza in verità immutabili. Un tratto che per Severino investe lo statuto ontologico tanto della scienza quanto della filosofia: in gioco sono le categorie di apparire, esistere, divenire, nulla. Le neuroscienze, proprio nei loro maggiori risultati, hanno un’aria di famiglia con quella tradizione culturale contro la quale insorgono. Ne va dell’autocomprensione dell’uomo: un caso dell’evoluzione destinato a scomparire, o un ente, al pari di tutti gli altri, da sempre destinato all’eterno?

E a fianco del neuroscienziato e del filosofo, un teologo, Giacomo Canobbio, per il quale la sfida tecnologica rappresentata simbolicamente dalle neuroscienze investe il cuore della religione biblica: l’uomo fatto ad immagine di Dio. Ma oggi non stiamo assistendo alla fine dell’eccezione umana? Il sogno tecnologico di allungamento della vita non rappresenta una parodia della vittoria biblica sulla morte? Come se la questione antropologica (chi è l’uomo?) fosse divenuta preliminare alla domanda teologica su chi è Dio (si veda al riguardo il numero di Concilium, Queriniana, 4\2105 dedicato a L’essere umano al vaglio delle neuroscienze).

Domande che implicano il fiato lungo della riflessione, dove i tre saperi a confronto possono scoprire ciò che li divide ma anche, forse , ciò che li unisce inaspettatamente nel futuro dell'umano.

Ilario Bertoletti - Corriere della Sera ed. Brescia on Domenica, 27 Maggio 2018. Posted in Rassegna Stampa

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