Paolo VI beato. E dopo?

Paolo VI beato. E dopo?

Osservando la miriade di pubblicazioni su Papa Montini che stanno apparendo sorgono almeno due interrogativi: “Cosa resterà di tutto questo una volta passata la festa della beatificazione”? Ma soprattutto: “Cosa dovrà restare?”. Al primo si può rispondere se il secondo diventa stimolo a un impegno collettivo per non dimenticare. Conoscendo il suo stile schivo, dimesso, espresso anche nella volontà di non avere monumenti, si può immaginare che questo gli starebbe maggiormente a cuore: far rivivere la sua passione per l’uomo.

Lo scultore Lello Scorzelli, autore del monumento a Paolo VI posto nella cattedrale di Brescia, è riuscito a dare forma a questa passione ponendo quasi in parallelo la postura del Papa e quella del crocifisso alla cui asta Paolo VI si appoggia. Sulla porta santa della basilica, aperta per il giubileo, Papa Montini si inginocchia piegato, quasi portasse un peso troppo grande per le sue deboli spalle.

Se rileggono alcuni discorsi di questo Papa appassionato di Cristo e della Chiesa si scopre che unica preoccupazione sua era quella di condividere con Cristo la passione per l’umanità. Tra tutti uno merita di essere ricordato: quello del 7 dicembre 1965 a conclusione del concilio Vaticano II, giorno in cui veniva promulgata anche la Costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes. Paolo VI sapeva che serpeggiava la critica di una deviazione della Chiesa: il concilio si sarebbe inchinato davanti al mondo moderno, con perdita della verità; soprattutto con la Dichiarazione sulla libertà religiosa Dignitatis humanae avrebbe introdotto nella Chiesa un cavallo di Troia.

Il Papa doveva quindi difendere non solo l’orientamento che la Gaudium et spes indicava alla Chiesa, cioè la condivisione delle gioie e delle speranze, delle tristezze e delle angosce dell’uomo contemporaneo, ma pure lo spirito del concilio in generale. Per farlo, dopo aver detto che un moto di simpatia e di amore verso l’uomo aveva guidato tutto il lavoro del concilio, riprendeva l’immagine del buon samaritano per ricordare che questa esprimeva la spiritualità dell’assise che si stava concludendo.

Il samaritano che si prende cura dell’uomo ferito è la figura di Cristo ed è la figura della Chiesa impersonata dal successore di Pietro. Per capire il senso di queste affermazioni si dovrebbe rileggere il discorso tenuto a Betlemme il 6 gennaio 1964 e ancora di più il discorso ai duecentocinquantamila campesinos della Colombia il 23 agosto 1968, o scoprire i gesti nascosti nei confronti dei poveri e dei malati durante i nove viaggi nei cinque continenti.

Un uomo piegato è un uomo che si china in adorazione, ma è anche un uomo che sa abbassarsi per soccorrere, che porta il peso del male che affligge l’umanità, ma non cede perché aggrappato alla croce di chi per amore dell’uomo sulla croce è morto. Spenti i riflettori della festa ci si dovrà interrogare se si voglia ricordare questa o il motivo che l’ha resa possibile.