Il mio Feuerbach

Il mio Feuerbach

Francesco Tomasoni è tra i massimi specialisti del filosofo tedesco a livello internazionale.

L’appuntamento è a Roncadelle, suo paese di nascita: l’occasione è la prova di stampa dell’ultima traduzione tedesca di un suo libro su Feuerbach, pubblicato dalla Morcelliana nel 2011. E non è la prima traduzione di suoi testi sul pensiero tedesco moderno, da Thomasius a Hegel: altri sono usciti in Germania e in lingua inglese, mentre un’opera in portoghese sta per uscire in Brasile.

Al punto che non è raro, in convegni internazionali sulla filosofia tedesca moderna, sentirsi chiedere, sapendoci di Brescia, se conosciamo il paese di Roncadelle. Non a caso: qui abita Francesco Tomasoni, tra i massimi specialisti a livello internazionale di Feuerbach e docente di storia della filosofia all’università di Vercelli, dopo aver insegnato per anni al Liceo Calini.

Professor Tomasoni, partiamo dalla sua formazione teologica a Roma, alla fine anni Sessanta, dove ebbe come compagni di studi il vescovo di Brescia, Luciano Monari, e Giacomo Canobbio.

«Ho avuto la fortuna di compiere gli studi di teologia alla Pontificia Università Gregoriana dove ho conseguito la Licenza in Teologia nel 1971. Erano gli anni successivi al Concilio e l’approccio alla teologia andava radicalmente mutando.. Le nuove prospettive che venivano proposte in nazioni più sensibili alla modernità come l’Olanda, la Germania, la Francia rimbalzavano prontamente in Italia grazie a nuove riviste che erano sorte, come Concilium o a traduzioni velocemente approntate. La Gregoriana, in virtù del suo corpo docente di carattere internazionale, era un luogo privilegiato in cui le proposte elaborate altrove arrivavano direttamente e venivano trasmesse, valutate e rielaborate»

Tra i docenti?

«Erano quasi tutti gesuiti, e tra essi mi è caro ricordare Pierre Galot e Joseph Fuchs, per la teologia, nonché lo storico Giacomo Martina: con lui assistetti alle lezioni che furono la prova del suo fortunato manuale di Storia della Chiesa. Ma quel che più ricordo è una conferenza di Karl Rahner sulla Trinità: era come assistere all’apertura di orizzonti impensati per la teologia cattolica».

Dopo quegli studi, la scelta fu di iscriversi a filosofia alla Statale di Milano: l’opposto della Gregoriana….

«È vero, ma anche lì quelli che più mi appassionarono furono due storici della Filosofia, Mario Dal Pra e Arrigo Pacchi. Benché la loro prospettiva fosse marcatamente laica, il rigore nello studio delle fonti e nell’interpretazione rappresentò per me una continuità con gli studi teologici precedenti. Del resto quell’orientamento laico, ispirato anche a istanze marxiste, era molto aperto a concezioni diverse e alla stessa problematica di fede».

La decisione di studiare Feuerbach? Anche qui, apparentemente l’opposto della teologia. L’immagine tradizionale di Feuerbach è di uno dei padri dell’ateismo contemporaneo.

«La laurea riguardava Ludwig Feuerbach. Sapevo che a Monaco di Baviera esistevano di lui gli inediti, in gran parte inesplorati. Mi sono dunque messo ben presto nell’impresa di interpretarli. Non fu facile. Si trattava di migliaia di fogli in gotico corsivo e in uno stato spesso illeggibile. Gli inediti che sono riuscito a decifrare, attraverso ripetuti soggiorni a partire dal 1978, hanno mostrato un volto nuovo di Feuerbach. Anzitutto la sua assimilazione dell’idealismo del maestro Hegel è apparsa molto più profonda e originale di quanto si pensasse, ma è emerso soprattutto un pensatore critico della cultura contemporanea, in particolare di ideologie dominanti all’epoca come quella del colonialismo o dell’imperialismo che ponevano al centro la civiltà occidentale, quella del nascente razzismo. Pur ammiratore della scienza, egli ha messo in guardia dall’esaltazione della scienza. Accenni c’erano già nelle opere pubblicate, ma essi hanno dimostrato il loro peso solo in base agli inediti. Vedendo i suoi studi preparatori e le redazioni provvisorie delle sue opere ho potuto scorgere interessi, dubbi, problemi che non si potevano neppure sospettare. Come spiegarsi il fatto che Feuerbach, ormai dichiaratamente ateo, si immerga in uno studio dettagliato di un trattato sulla Trinità del Seicento? Anche il tema della natura si è imposto con forza. In un momento in cui si esaltava la nascente industrializzazione in nome del dominio umano, egli metteva in guardia dalle sopraffazioni che questo dominio avrebbe comportato sugli altri uomini e sulla natura».

Eppure la teologia è rimasta tra le sue passioni. Infatti, oltre a testi di Feuerbach stesso, ha tradotto per Paideia testi di alcuni dei più significativi esegeti tedeschi.

«Qui non posso dimenticare la lezione di Felice Montagnini, tra i maggiori biblisti italiani. Grazie a lui entrai in contatto con Giuseppe Scarpat, che mi affidò la traduzione di testi di Gnilka su Gesù e di Schnackenburg sul Nuovo Testamento. Come lo studio della teologia mi ha aiutato a capire meglio Feuerbach, così lo studio della filosofia mi ha aiutato a leggere, e tradurre, meglio i testi teologici e biblici. In fondo, l’etimologia del nome Feuer-bach significa «torrente di fuoco»: il fuoco del rigore e della passione per l’interpretazione dei testi. Un’interpretazione critica, senza confessionalismi, religiosi o laici».

Tomasoni mi mostra alcune lettere di Alfred Schmidt, con Habermas tra i più originali esponenti della seconda generazione della Scuola di Francoforte. Uno scambio epistolare durato 25 anni.

«Alfred Schmidt ha accolto con molto favore la mia pubblicazione dei documenti inediti e la mia interpretazione. Egli vi ha visto una conferma per una via alternativa sia alla civiltà tecnologica di stampo occidentale, sia alla visione marxista secondo lui ancora fortemente influenzata dalla priorità accordata alla tecnologia e alla prassi trasformatrice. Con lui ho avuto molti scambi epistolari e scientifici a partire dal mio libro Feuerbach e la natura non umana (1986) fino al 2010, quando in occasione di un convegno a Mainz ci siamo finalmente incontrati di persona. Era un signore, con la malinconia del vero studioso di Feuerbach e Schopenhauer. Per lui restava un enigma il perché del dolore. Ma per chi non lo è, credente o ateo che sia? Non sta qui il mistero dell’umano?».