I due Ulisse: uno domestico e uno che non vuole fermarsi mai

I due Ulisse: uno domestico e uno che non vuole fermarsi mai

Il professor Pietro Boitani sui significati del personaggio omerico nella storia letteraria

Dall’ottavo secolo a.C., quando Omero compose l’Odissea, il viaggio di Ulisse ha percorso l’intera storia della letteratura occidentale. Una sintesi affascinante di questa lunga navigazione è stata proposta ieri da Pietro Boitani, docente di Letterature comparate all’Università «La Sapienza» di Roma.

Il professore era ospite dell’Accademia Cattolica di Brescia nell’ incontro - promosso in collaborazione con la Cooperativa cattolico-democratica di cultura - che ha aperto il nuovo anno di riflessioni intorno al tema dell’umano. Il ciclo di appuntamenti, dopo aver sondato negli anni passati le religioni e le discipline scientifiche, interroga quest’anno le scienze umanistiche. Prendendo il via proprio da Odisseo, uno dei simboli dell’umano per eccellenza, la cui figura Pietro Boitani ha approfondito in molti studi: nel 2016 uscirà il nuovo libro dedicato al «Grande racconto di Ulisse».

Boitani è stato accolto dal direttore dell’Accademia, mons. Giacomo Canobbio, e da Ilario Bertoletti. Ha esordito osservando che non esiste un solo Ulisse nel nostro immaginario. Sono almeno due: «L’Ulisse omerico è centripeto, viaggia ma desidera tornare a casa; al punto da rifiutare l’immortalità offertagli da Calipso, preferendo restare uomo anziché diventare un dio. Di questo Ulisse troviamo varie incarnazioni, perché è portatore di un’idea dell’umano contrassegnata dalla domesticità, dall’idea che tornare dai propri cari è fondamentale».

L’Ulisse che non vuole tornare. L’altro modello che ha avuto lunga vita è quello dantesco: «L’Ulisse di Dante non vuole assolutamente tornare a casa. Si imbarca e naviga oltre le colonne d’ Ercole, fino alla montagna del Purgatorio». Qui una tempesta investe la nave, «infin che ’l mar fu sovra noi richiuso».

Ma Ulisse non scompare: questa seconda immagine di Odisseo è prevalsa a lungo in Occidente. «A partire dal Rinascimento - spiega Boitani - tutte le reincarnazioni letterarie di Ulisse sono i grandi scopritori, da Vespucci agli esploratori di inizio Novecento». Il verso finale della poesia dedicata a Ulisse scritta da Alfred Tennyson nel 1833, «lottare, cercare, trovare e non arrendersi », è inciso sulla croce posta al Polo Sud, nel luogo in cui morì l’esploratore Robert Scott. «Ma è anche un verso che viene dal "Paradiso perduto" di Milton, dove a pronunciarla è Satana».

I limiti etici. Emerge qui il lato d’ombra del grande navigatore: «Senza le ricerche intraprese dall’uomo occidentale, la nostra civiltà non sarebbe ciò che è. Ma c’è il rischio dell’eccesso: ad attendere Ulisse è la montagna bruna del Purgatorio, ovvero il limite, il pericolo etico al quale si può arrivare».

Nel 1922, con l’«Ulisse» di Joyce ritrova voce il modello «domestico». «L’ebreo irlandese Leopold Bloom vive un’odissea di una sola giornata attraverso Dublino. A sera torna dalla moglie Molly, la Penelope più infedele che si possa immaginare ».

Il capolavoro di Joyce apre alle molte reinterpretazioni che dei modelli originali ha offerto la letteratura del Novecento. Boitani ne ha ricordate e lette molte, con efficacia: dalla raffinata presa in giro che del «Re-di-Tempeste Odisseo» fa Guido Gozzano ne «L’ipotesi», alla lucida parabola di Kafka sul «silenzio delle sirene» che avrebbe accompagnato il passaggio dell’eroe. Per arrivare a Primo Levi, che recita nel lager a un amico il canto XXVI dell’ Inferno, intravedendo «nell’intuizione di un attimo», in quella poppa della nave rovesciata «com’altrui piacque», «forse il perché del nostro destino, del nostro essere oggi qui».

La fine del viaggio è ancora in Grecia, nello splendido Ulisse incanutito che appare al poeta Seferis ne «In un verso straniero »: «È la figura del padre che insegna ad essere uomini, a fare i conti con i mostri e con il peggiore di essi, la morte».