Democrazia messa in discussione dalla crisi sociale

Democrazia messa in discussione dalla crisi sociale

Sempre maggiore la divaricazione fra orientamenti elettorali ed i mercati

Mauro Magatti, sociologo ed economista, professore ordinario di Sociologia generale all’Università Cattolica di Milano, dal 2016 è segretario delle Settimane sociali dei Cattolici italiani. Domani alle 17.45 nell’aula magna di via Trieste 17, per il ciclo «Individualismo e desiderio di legami» proposto dall’Accademia Cattolica, terrà una relazione sul tema: «Società post-industriale e fragilità delle relazioni».

Siamo passati dall’euforia della crescita illimitata all’angoscia della recessione e della violenza: la cornice della nostra vita sociale è ormai irrimediabilmente cambiata. Il mutamento va preso molto sul serio se, come ha scritto Franz Neumann - grande studioso del nazismo - nelle moderne società di massa è proprio l’angoscia il movente principale per la formazione di regimi autoritari. È questa l’eredità più impegnativa che ci ha lasciato la fine del neoliberismo, riconsegnandoci alla necessità di affrontare il nostro futuro comune in una condizione storica radicalmente trasformata. L’alchimia neoliberista, che aveva tenuto insieme liberismo e democrazia, è ormai saltata. La divaricazione tra gli orientamenti elettorali e le esigenze dei mercati è destinata ad aggravarsi. Di fronte a questa nuova situazione, i sistemi politici si vanno ristrutturando attorno a due diagnosi opposte che però convergono nel mettere in discussione la democrazia. La prima posizione sostiene che per contrastare i diversi fronti della crisi occorre gestire ancora più tecnicamente la cosa pubblica. Che la macchina complessa della nostra società ha bisogno di esperti e di istituzioni in grado di decidere in modo efficiente. Il problema qui è il popolo, ignorante e bizzoso. La seconda diagnosi ritiene, al contrario, che il caos in cui ci troviamo sia la conseguenza dell’usurpazione del potere da parte delle tecnocrazie. La soluzione sta allora nel tornare al popolo, che si ritrova attorno alle parole di qualche leader e ai suoi richiami al bisogno di appartenenza. Attorno al tema della sicurezza, si rischia di virare verso forme di democrazia illiberale. Oggi come nel passato il «potere del popolo» è un obiettivo destinato a sfuggirci dalle mani. La verità è che neoliberismo e globalizzazione hanno costituito una società dipendente dal benessere e dalla crescita. Tenere insieme una democrazia capace soltanto di parlare di diritti in un contesto economico di bassa crescita e in un quadro internazionale disordinato e carico di violenza è il problema che abbiamo davanti. Abbiamo bisogno di soggettività capaci di declinarsi non più solo in termini di diritti ma anche di responsabilità. Oggi è più che mai chiaro che non ci può essere libertà senza responsabilità, né ci possono essere diritti senza doveri. E questo vale per tutti i gruppi sociali. In modo particolare, per le élite.