Chi siamo, chi saremo

Chi siamo, chi saremo

Pensiero Un filosofo, una biologa e un teologo per capire dove sta andando l’uomo. È l’ultima tappa dell’anno di approfondimenti dell’Accademia Cattolica

«Cosa è l’uomo?». È la domanda che per Kant sempre si ripresenta ogni qualvolta ci interroghiamo sul sapere, la scienza e la storia. Ed è stata la domanda che ha idealmente guidato l’anno di incontri dell’Accademia Cattolica di Brescia, che si conclude sabato 21 (ore 9, via Gabriele Rosa 30) con una tavola rotonda su «Identità e soggetto nella prospettiva di un futuro dell’umano». Partecipano un filosofo (Marco Ivaldo, dell’Università di Napoli), una biologa (Ornella Parolini, del Centro di Ricerca della Poliambulanza) e un teologo (Giovanni Cesare Pagazzi, Facoltà teologica dell’Italia Settentrionale). Ed è con loro che anticipiamo alcuni dei temi che saranno discussi.

Colloqui che non possono non partire dalle sfide che i risultati — insieme sorprendenti e inquietanti — delle scienze della vita pongono a saperi di antico lignaggio come la filosofia e la teologia.

«La biologia — spiega Ornella Parolini — suscita contemporaneamente fascino e timori. È la scienza che studia tutto ciò che riguarda la vita e gli organismi viventi, dal livello molecolare a quello degli ecosistemi, che riconosce la cellula come l’unità base della vita. Il suo continuo progresso soddisfa il desiderio di conoscenza insito nell’uomo e sembra offrire, attraverso le proprie applicazioni, la prospettiva di un mondo migliore. Tuttavia ha preso forma negli ultimi de-
cenni un inquietante dubbio: le nuove acquisizioni e, soprattutto, l’accresciuto potere di intervento sulla realtà vivente ha arricchito l’uomo o lo ha in qualche modo sminuito nella sua umanità? Abbiamo forse sottostimato quale impatto il progresso delle scienze biologiche avrebbe avuto non solo sull’ambiente e sugli organismi viventi, ma anche sull’uomo e sulla società e sull’immagine che noi abbiamo di questi? Inaspettatamente, proprio dalle sfide affrontate dalla biologia, dal suo crescente potere e dal senso del proprio limite potrebbero imporsi nuovamente le domande fondamentali sul significato e sullo scopo dell’esistenza e su chi sia l’uomo».

Le domande fondamentali, toccando il rapporto con Dio, sono quelle su cui verte innanzitutto l’indagine teologica. «Affrontando il problema del potere dell’uomo — riflette Giovanni Cesare Pagazzi —, oggi la teologia è invitata a ripensare il “potere di muoversi” e il “senso pratico” come primi doni dati all’uomo da Dio. Si tratta del dono di un potere che provoca ed esige l’effettivo esercizio. Solo se tale potere viene praticato in modo congruente alla realtà (con il suo essere “alla mano” e la sua opponente resistenza) diviene savoir-faire, portamento e comportamento garbato, sapiente, giusto, aggraziato, cioè grazia. Ma il potere di muoversi e la sua grazia possono perdersi o diminuire, annichilendo l’umano; ecco allora l’attenzione al processo di ri-abilitazione, cioè la riconquista del potere e della grazia perduti. Un esempio è nei gesti di Cristo, colui che ‘cresceva in età, sapienza e grazia’ (Lc 2,51), il ‘pieno di grazia’ (Gv 1,14), colui che porta al mondo la grazia (Gv 1,17). La pratica della fede è anche, contro ogni tracotanza nell’esercizio del potere, un processo di ri-abili-tazione alla grazia del Signore Gesù; processo che deve attraversare ogni aspetto del potere di muoversi: sforzo, esercizio, abitudine, gesto».

E la filosofia? Come fa fronte a questa sfida sull’identità dell’umano? «Contro immagini sclerotizzate della identità, — risponde Marco Ivaldo— oggi buona parte della riflessione filosofica è giunta (e penso a Paul Ricoeur) a pensare l’identità come relazione che si costruisce attraverso percorsi di apprendimento reciproci, ovvero tramite percorsi che suppongono una disponibilità non solo a ‘ri-leggere’ e comunicare una storia, una memoria, un patrimonio spirituale, ma anche a imparare dalla forma di vita e dal patrimonio spirituale degli altri, precisamente dagli “stranieri”. Non sto proponendo una identità senza radici. Penso però che le radici capaci di portare frutto non consistano propriamente in fattori naturalistici, etnicistici, nazionalitari, o in versioni fondamentaliste della religione e della spiritualità. Penso invece che le radici feconde stiano (paradossalmente) ‘in alto’, in principi universalistici, suscettibili, proprio perché universalistici, di declinazioni molteplici e varie, e capaci di generare relazioni, ovvero processi di umanizzazione». Biologia, teologia, filosofia: tre sguardi diversi da custodire — contro ogni tentazione riduzionista — nella loro differenza proprio per cercare di abbozzare una risposta su chi è l’uomo: quell’essere che già i tragici greci chiamavano come il più “perturbante”, perché capace di tenere in sé tanto la possibilità del bene quanto quella del male.