Attualità di una carta dei diritti universali

Attualità di una carta dei diritti universali

Gli interrogativi sulle «tecniche» di tutela dei diritti in sede internazionale, e sui conflitti tra diversi interessi

Osservava Samuel von Pufendorf nel trattato «De jure naturae et gentium» del 1672 (la cui traduzione italiana «rettificata», compiuta dal bresciano Giovambattista Almici nel 1757, circolò in diverse Università europee) che il termine «diritto» è ambiguo: esso può designare un corpus di norme (il diritto in senso oggettivo, in inglese law, come il diritto italiano, il diritto internazionale), oppure può designare la condizione di un soggetto in virtù della quale egli può legittimamente impartire ordini ad altri, possedere cose, o pretendere qualcosa da altri (diritto in senso soggettivo, in inglese right).

Ma qual è il rapporto tra diritto in senso oggettivo e diritto in senso soggettivo? Secondo una prospettiva diffusa (quantunque non pacifica), ogni diritto soggettivo si fonda su, e dipende dalle norme di un ordinamento positivo: affinché sussista effettivamente un particolare diritto soggettivo è necessario che esistano norme statuite che conferiscano quel diritto a determinati soggetti, e che stabiliscano i corrispettivi doveri per la sua tutela.

Nel saggio «L’età dei diritti» del 1987, Norberto Bobbio vedeva nella storia del diritto moderno il progressivo realizzarsi di una «rivoluzione copernicana», di un rovesciamento di prospettiva nel rapporto politico stato-cittadini, che viene visto sempre più dal punto di vista dei diritti dei cittadini piuttosto che da quello dei doveri dei sudditi. È in questo contesto che il riconoscimento dei diritti soggettivi si allarga dai rapporti economici intersoggettivi ai diritti pubblici (civili, politici e sociali) che caratterizzano lo stato di diritto. Nella «Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino» del 1789 Bobbio vedeva ormai affermata la concezione individualistica secondo cui «lo stato è fatto per l’individuo e non l’individuo per lo stato».

La successiva fase dell’età dei diritti è stata caratterizzata, in reazione ai drammatici eventi della Seconda guerra mondiale, dal superamento dei confini statali dei diritti umani, attestato dalla Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Ma quanto è «universale», oggi, questa Dichiarazione? Ed è ancora opportuno ispirarsi a una simile impostazione «universalistica», tenuto conto che la crescente penetrazione della cultura dei diritti umani è andata sempre più orientandosi in senso locale e settoriale?

Sono questi gli interrogativi che saranno sollevati dal professor Gabriele Della Morte, internazionalista all’Università Cattolica di Milano, nel corso dell’incontro di oggi, mercoledì 15 marzo, ore 18, all’Accademia Cattolica di Brescia (presso l’Aula dell’Archivio storico diocesano, in via Gabriele Rosa 30) per il ciclo «Ethos - desiderio - legge». L’intervento, intitolato «Sulla possibilità di una "carta dei diritti universali"», si articolerà intorno a tre aspetti principali: l’evoluzione storica e le diverse «generazioni» dei diritti (civili e politici; sociali, economici e culturali; di cooperazione, della pace e dello sviluppo; della privacy, del patrimonio genetico); le principali tecniche di tutela (positiva e negativa) adoperate dagli organi di controllo dei dritti dell’uomo operanti in sede internazionale; alcuni problemi concreti che rivestono un’importanza simbolica per via dei diversi interessi meritevoli di tutela (il lancio del nano, il burkini, le leggi che sanzionano le condotte negazioniste).