Angelo Brusco e Claudio Cuccia - La sacralità dei corpi malati

Relatore Angelo Brusco e Claudio Cuccia

“E’ lo sguardo dell’altro che mi conferisce l’identità”. (Lacan). Qual è lo sguardo che le persone rivolgono al corpo malato, al proprio e a quello degli altri? La storia del mondo occidentale registra numerose mutazioni di tale sguardo, dovute ai cambiamenti culturali e religiosi. Uomini e donne hanno guardato al corpo attraversi i filtri della loro visione della vita, delle loro religione, dei loro pregiudizi… Tali filtri hanno generato atteggiamenti diversi nei riguardi della dimensione corporea, sana e ammalata.

Tre orientamenti si sono imposti, con alterne vicende, nel mondo occidentale.

Il primo, radicato nella filosofia platonica e neo-platonica, sostiene che l’uomo è costituito da due dimensioni distinte, il corpo e l’anima, con predominio della mente. Il corpo è considerato come prigione dell'anima, per cui va mortificato lasciando più libero lo spirito. Tale orientamento, che è stato alla base dell’immagine dell’uomo per molti secoli entro civiltà, culture e religioni diverse (Acquaviva), non ha mancato d’influire sul cristianesimo attraverso S. Agostino, incorrendo in ambiguità. Per il cristiano, infatti, il corpo da una parte è sacro, tempio dello Spirito Santo, destinato alla risurrezione e, dall’altra, è visto con sospetto, soprattutto per ciò che concerne la sessualità. Derive di tali ambiguità sono da vedersi nell’esagerata correzione del corpo (discipline, flagellazioni…) e nell’esaltazione del dolore (dolorismo).

Il secondo, sempre di matrice dualistica, è caratterizzato da un’esaltazione esagerata del corpo, un’idolatria che porta a sminuire o a vanificare la dimensione dello spirito.

Il terzo orientamento, sostenuto dal personalismo, in particolare quello di origine cristiana, considera l'uomo come una persona che si realizza nella sua globalità, fatta da due elementi inscindibili che sono appunto la parte corporea e quella spirituale.

Nel mondo della salute, dove il corpo è soggetto ai colpi della malattia che ne mina l’integrità, quale di questi orientamenti è prevalente, e quale dovrebbe essere promosso in modo da aiutare, da una parte i malati a mantenere la loro dignità malgrado il tradimento del corpo e, dall’altra, gli operatori sanitari e socio-sanitari a rendersi conto che la cura del corpo è cura della persona?

E’ a questi obiettivi che cerca di rispondere la relazione.

- Angelo Brusco


La malattia può essere intesa come una pietra d’inciampo che offre al paziente un’occasione, spesso imprevista, per fermarsi e riflettere. L’ospedale, che della malattia è il naturale rifugio, in questi casi si riveste del manto che ne fa un luogo del sacro, quel sacro che la Treccani descrive “connesso all’esperienza di una realtà totalmente diversa, rispetto alla quale l’uomo si sente radicalmente inferiore, subendone l’azione e restandone atterrito e insieme affascinato; in opposizione a profano, ciò che è sacro è separato, è altro…”

Ebbene, chi indosserà le vesti del sacro, in ospedale? Chi sarà l’altro, in ospedale? Lo sarà il corpo del malato, come titola il nostro incontro, oppure la sacralità rimarrà prerogativa del medico, di colui che col malato dovrebbe umilmente stringere un’alleanza per combattere un nemico comune, la malattia?

Qual è dunque il rapporto tra il medico e il paziente in questa logica di dialogo? Come si realizza il patto contro la malattia? Quant'è debole, l’alleanza? Quali saranno gli strumenti perché il patto possa portare i suoi frutti, frutti non soltanto fisici – “Innanzitutto guariscimi!” chiede il paziente –, ma anche etici e morali, grazie ai quali il paziente possa percepire di fermare il tempo, quel tempo (chrònos) che sente sfuggirgli, per trasformarlo in qualcosa di tutto suo, in quell’attimo fuggente (kairόs) che è l’incontro felice con se stessi, che si realizza con il piacere dell’ascolto di una parola donata, con la lettura di un libro o con il godere della musica, occasioni per dar vita alla sollecitazione senecana del Vindica te tibi o, chissà, dell’agostiniana Tu quis es?

Può quindi l’ospedale essere inteso come un luogo di cultura, oltre che di cura? E il sacro, ciò che “gli uomini avvertono come totalmente altro e che si manifesta con forza misteriosa, rispetto al quale si sentono sottoposti, spaventati e nello stesso tempo attratti”, potrà trovare i suoi spazi in questo luogo o nel rapporto tra chi, medico o paziente, condivide un percorso che vede come protagonista la sofferenza?

- Claudio Cuccia

Sabato, 08 Maggio 2021 | Luigi Voltolini