Sulla possibilità di una “carta dei diritti universali”

Relatore Gabriele Della Morte

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a Parigi il 10 dicembre 1948, non fu così universale come ci si aspetterebbe. Anzitutto non ebbe il consenso di tutti i paesi, bensì alcuni come Arabia Saudita, Sudafrica, URSS e altri si astennero. Inoltre, come fu osservato dal rappresentante cinese, non teneva in debito conto la cultura orientale. I 30 articoli di cui è composta, pur risentendo in modo preponderante della tradizione occidentale (al centro è posto l’individuo, non la comunità: prova ne sia la mancanza di riferimenti all’autodeterminazione dei popoli), registrano tre principali influenze: il giusnaturalismo (si avverte per esempio l’incipit del “Contratto sociale” di Rousseau), il socialismo e il nazionalismo.

La Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite a Parigi il 10 dicembre 1948, non fu così universale come ci si aspetterebbe. Anzitutto non ebbe il consenso di tutti i paesi, bensì alcuni come Arabia Saudita, Sudafrica, URSS e altri si astennero. Inoltre, come fu osservato dal rappresentante cinese, non teneva in debito conto la cultura orientale. I 30 articoli di cui è composta, pur risentendo in modo preponderante della tradizione occidentale (al centro è posto l’individuo, non la comunità: prova ne sia la mancanza di riferimenti all’autodeterminazione dei popoli), registrano tre principali influenze: il giusnaturalismo (si avverte per esempio l’incipit del “Contratto sociale” di Rousseau), il socialismo e il nazionalismo.

Ciò premesso, si può ravvisare nei diritti contemplati in tale Dichiarazione un fondamento assoluto? Ad ascoltare le voci di alcuni tra i più autorevoli giuristi che, in Italia, si sono occupati del tema, no. Norberto Bobbio, ad esempio, lo esclude; e Antonio Cassese, più tardi, sottolinea come la medesima universalità sia un ‘mito’ (mito che – d’altra parte – già in passato aveva causato diverse dispute dottrinarie come quella di origine medioevale denominata la Querelle des universaux, rievocata plasticamente in un quadro omonimo, dipinto da René Magritte nel 1928).

Ma di questo non occorre stupirsi: anche concetti apparentemente comuni come ‘libertà’ o ‘pace’ vengono intesi in modo differente nelle diverse tradizioni culturali, ad esempio in quella occidentale, socialista o orientale, come pure nelle diverse epoche storiche. Relativamente alla libertà, per esempio, già Benjamin Constant nel “Discorso sulla libertà degli antichi” (1819) aveva dimostrato come questi ultimi intendessero la libertà come partecipazione (libertà di) diversamente dai moderni che la intendono come libertà da, e in particolare dalle forme più intrusive di potere. Per quanto concerne la pace, poi, si consideri il caso dell’amnistia voluta nel 1946 da Togliatti: essa certamente contrastava con la necessità di fare giustizia, ma è stata nondimeno considerata un atto necessario al fine di tutelare la pace sociale, in Italia, all’indomani della fine della seconda guerra mondiale.

Così, se è difficilmente rintracciabile un fondamento universale dei diritti, conviene piuttosto preoccuparsi di proteggerli, oltre che intenderli come il risultato di un lungo cammino le cui radici storiche sono collocabili – con larga approssimazione – in diverse epoche storiche: nel Settecento per i diritti civili, nell’Ottocento per i diritti sociali, e nel Novecento per i diritti riferibili alla cooperazione e alla pace. Quali sono i diritti che saranno riconosciuti in futuro? Quelli legati al mondo di internet (privacy) o alla difesa dell’ambiente (riscaldamento globale)? Possiamo solo immaginarlo.

In sintesi la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ha certamente diverse fragilità, ma non manca di grandi potenzialità. Sotto il primo profilo, va ribadito che essa non rappresenta un atto vincolante e ancora va sottolineato come non manchi di qualche ambiguità, come ad esempio nella formulazione dell’articolo 13, comma secondo, che espressamente sancisce: “il diritto di ogni individuo di lasciare il proprio paese, incluso il proprio, e di farvi ritorno” (agli osservatori più abituati alle insidie del linguaggio del diritto non sarà sfuggito che questo diritto di uscire e di fare ritorno nel proprio Paese non prevede... lo speculare obbligo di lasciar entrare in un altro Stato – si parla, a tal proposito, di ‘passo sospeso’ sulla frontiera).

Passando, poi, alle potenzialità, la Dichiarazione ha consentito il successivo sviluppo dei diritti umani, permettendo in particolare i processi di settorializzazione e di regionalizzazione. Ha portato cioè, da un lato, alla regolamentazione di determinati settori particolarmente sensibili (come il mondo dell’infanzia, dei malati o le minoranze) e, dall’altro, alla maggiore tutela offerta in determinati regioni (si pensi alla Corte europea, o quella inter-americana, dei diritti umani).

Occorre da ultimo sottolineare come questa progressiva affermazione dei diritti umani non ha mancato, e non manca, di causare alcune tensioni, e ciò tanto tra singoli diritti appartenenti alla medesima famiglia e/o generazione, tanto tra famiglie e/o generazioni diverse. Come esempio del primo gruppo, si prendano in considerazione i conflitti che possono nascere in seno ai diritti sociali (per lo più conflitti inerenti alla distribuzione delle risorse), o quelli in seno ai diritti civili (come dimostra il dibattito intorno all’opportunità delle leggi che puniscono le condotte negazioniste: da un lato si tutela la memoria storica e dall’altro si pongono limiti alla manifestazione del pensiero). Nel quadro di conflitti tra diritti appartenenti a famiglie diverse, poi, sono esemplari quelli tra diritti sociali e diritti civili, come nel caso del cosiddetto ‘lancio del nano’, affrontato dai tribunali francesi, e concluso nel senso per cui la dignità non ha prezzo (e dunque il nano in questione, che pure aveva deliberatamente scelto di essere ‘lanciato’ come attrazione in un locale, non poteva scegliere, per sé, questo tipo di lavoro).

I diritti dell’uomo, in definitiva, se da un lato pongono un metro per valutare se la comunità degli uomini stia progredendo verso il meglio, dall’altro richiedono una valutazione che, nelle singole circostanze, non è mai scontata.

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Osservava Samuel von Pufendorf nel trattato «De jure naturae et gentium» del 1672 (la cui traduzione italiana «rettificata», compiuta dal bresciano Giovambattista Almici nel 1757, circolò in diverse Università europee) che il termine «diritto» è ambiguo: esso può designare un corpus di norme (il diritto in senso oggettivo, in inglese law, come il diritto italiano, il diritto internazionale), oppure può designare la condizione di un soggetto in virtù della quale egli può legittimamente impartire ordini ad altri, possedere cose, o pretendere qualcosa da altri (diritto in senso soggettivo, in inglese right).

Mercoledì, 15 Marzo 2017 | Luigi Voltolini