Terapia del desiderio e filosofia antica

Terapia del desiderio e filosofia antica

Oggi alle ore 18 (11 gennaio 2017, ndr), nella sede dell'Accademia cattolica, a Brescia, in via Gabriele Rosa, 30, il Prof. Salvatore Natoli, tratterà il tema: “Formazione del soggetto e terapia del desiderio.

Attualità della filosofia antica?”. Salvatore Natoli che ha insegnato, fra l’altro, all’università Ca’ Foscari di Venezia e alle due università statali di Milano, è noto per la mole imponente di pubblicazioni che ha dedicato a importanti problemi etici, come quello del male, del dolore e della felicità confrontando il pensiero dei moderni con quello degli antichi. Emblematico è il titolo di un libro che, attraverso ripetute edizioni dal 1979 al 2010, ha accompagnato il suo percorso: “Soggetto e fondamento. Studi su Aristotele e Cartesio”. La centralità del soggetto si affermò, notoriamente, a partire da Cartesio e dal suo: “Penso, dunque esisto”. L’io diventava il principio di ogni certezza. Era però facile compiere un passo ulteriore e prenderlo come principio di ogni verità e di ogni norma morale. Nell’Ottocento Max Stirner faceva proclamare all’io: “Ho posto la mia causa su nulla”. Egli non riconosceva nessun fondamento, nessuna autorità al di sopra di sé. L’io era creatore dei propri valori. In una forma estrema si esprimeva il soggettivismo contemporaneo. Quante persone oggi scambiano i propri desideri per diritti da far valere ad ogni costo! Al pericolo del soggettivismo i filosofi nel Novecento hanno cercato di reagire. Husserl ha spiegato che la coscienza attraverso la sua intenzionalità ha in sé l’altro e quindi la norma, sicché il desiderio si deve confrontare con essa. Heidegger ha mostrato come alla radice di ogni desiderare vi sia l’essere e ha rinviato agli antichi che non erano ancora prigionieri della soggettività. Ritornare dunque alle origini del pensiero occidentale, quando si concepiva l’uomo come membro della città e del cosmo e si intendeva la sua felicità come frutto di armonia col tutto?

Il ritorno alle origini può rappresentare una regressione nostalgica, ma anche, come la psicanalisi ha insegnato, il recupero di una pienezza perdutasi nel percorso successivo. Soprattutto nei periodi di crisi la civiltà ha sentito l’esigenza di riscoprire le sue sorgenti e ne ha tratto ispirazione per un rinnovamento radicale: basti pensare al rinascimento. Se il soggetto moderno con il suo mondo di desideri e frustrazioni si confronta con le prime dottrine etiche della virtù e della felicità, riesce forse a uscire da sé e a riconoscersi come un essere finito, bisognoso di fondamento. Quando nel Gorgia Callicle dice che “vivere felicemente significa avere ogni sorta di desideri e la possibilità di soddisfarli in piena gioia”(494c), cosa concessa solo ai “migliori”, non alla maggioranza degli uomini, Platone per bocca di Socrate gli ribatte che una tale vita è schiavitù, che il piacere non è la felicità e che questa, grazie al suo legame con la bontà, è possibile anche a quanti soffrono. Ciò che conta è il fine e il valore intrinseco dell’azione che, come Werner Jaeger commenta, “rimane nell’anima e impronta di sé la sua essenza” (Paideia, II, La Nuova Italia, Firenze 1970, p. 261). Su questi temi, a lui molto familiari, parlerà Salvatore Natoli.