Mons. Roberto Repole - Un mondo senza religione o senza cristianesimo?
Relatore card Roberto Repole
Il cambio d’epoca accelerato in cui siamo immersi coinvolge ovviamente anche le religioni. Poiché il cristianesimo si è diffuso ovunque in Europa, ne ha segnato la storia e ha rappresentato per secoli la religione di riferimento della quasi totalità dei Paesi europei, il card Roberto Repole concentra la sua riflessione prevalentemente sul cristianesimo.
La Chiesa cattolica in occasione del Concilio Vaticano II (1962-1965) soprattutto nella Costituzione Gaudium et Spes 44, ha avuto un primo confronto con la secolarizzazione, e ha riconosciuto che le realtà terrene hanno una loro autonomia, che non è sinonimo però di indipendenza. Nel secolo scorso il confronto/dialogo era possibile perché, in realtà, i valori di fondo del mondo e della Chiesa erano ancora condivisi. Ma, a partire dal ‘68 abbiamo assistito a un progressivo e rapido processo di destrutturazione. Il problema è stato approfondito da illustri pensatori: dal tedesco J.G. Luhmann, dal francese Olivier Roy e dal canadese Charles Taylor. Quest’ultimo sostiene che a partire dagli anni ’60 si è imposto un individualismo espressivo. La svolta libertaria ed espressiva, assieme allo sviluppo tecnoscientifico, alla digitalizzazione e al neoliberismo economico, hanno portato conseguenze non solo religiose, ma anche sociali. Questi fattori hanno prodotto un processo di de-culturazione a cui non sembra seguire una nuova ac-culturazione, e, di conseguenza si è generata una de-socializzazione. La tecnoscienza sembra ignorare sia la cultura umanistica, sia la cultura ambiente, e manifesta una crescente volontà di potenza, di dominio e assoggettamento del mondo che mette in crisi lo stesso umano. Si impone pertanto la domanda come sia ancora possibile oggi pensare di poter rintracciare una cultura condivisa.
A questo proposito, interessante risulta il contributo del filosofo coreano Byung-Chul Han, noto per la sua critica della società contemporanea. Nella nostra società siamo tutti perennemente connessi; ma con quale qualità di comunicazione? Con una comunicazione che manifesta assenza di comunità in cui l’altro scompare. L’interlocutore si riduce sempre più a specchio; di conseguenza l’attenzione è tutta rivolta sull’ego. La stessa democrazia è compromessa dalla digitalizzazione.
Si potrebbe temere che siamo destinati ad immaginare un futuro nel quale ogni prospettiva religiosa sia inevitabilmente in via di estinzione. Ma, sulla scia di F. Hoelderlin è possibile pensare che “dove c’è pericolo cresce anche ciò che salva”. Il contesto attuale è particolarmente propizio per rilevare inedite aperture alla trascendenza e un modo nuovo di esperire l’angoscia. La stanchezza che ci dà l’approccio dominativo, tipico della tecno-scienza, può lasciare il passo ad un sentimento di risonanza con il mondo. Che ciò deponga a favore di un posto nuovo per le religioni, può essere evinto dal fatto che i tentativi, spesso inconsci, di superamento dell’angoscia richiedono sempre delle interpretazioni, le quali, a loro volta, stimolano tali tentativi. E le religioni sono interpretazioni di apertura alla trascendenza.
Il teologo tedesco Hans Joas intravede il ruolo che potrà svolgere nel futuro il cristianesimo, grazie al fattore ecclesiale che lo caratterizza, a misura, però, che consenta di superare l’individualismo senza catturare l’ideale religioso. Per questo oggi, compito della teologia potrebbe essere quello di approfondire maggiormente ‘perché’ deve esserci la Chiesa, in quanto realtà sociale e socializzante, quindi generatrice di cultura, non nella direzione iper-individualista e di mercificazione, ma nella direzione della fratellanza universale.
Ma perché questo avvenga la Chiesa dovrà vigilare contro la trappola della affermazione del cristianesimo per via di potere, che si appella non ad una condivisione di valori, ma alla elaborazione di continue norme. La Chiesa dovrebbe vigilare per evitare l’auto-secolarizzazione prodotta da una teologia sempre più ridotta a sociologia religiosa, incline a rincorrere la modernità avanzata. Pericolo che potrebbe essere nascosto anche nella sinodalità, intesa come difesa delle idee personali. Inoltre la Chiesa deve resistere al rischio di un cristianesimo senza cultura, e deve preservarsi dalla prospettiva di una Chiesa settaria. Piuttosto deve essere sempre più aperta e missionaria, nell’unica forma del dono, offerto alla libertà altrui, che trasmetta, come contenuto centrale, l’accoglienza di ciascuno in Dio, mediata dalla accoglienza della Chiesa.