Lo sviluppo tecnologico e la sua influenza sulla nuova definizione dell’umano

Lo sviluppo tecnologico e la sua influenza sulla nuova definizione dell’umano

Il confronto tra Benini, Canobbio e Severino per andare oltre la pura constatazione scientifica

Con un confronto tra scienza, filosofia e teologia su «Sviluppo tecnologico e futuro dell’umano», l’Accademia Cattolica di Brescia ha concluso ieri, nell’Aula magna dell’Università Cattolica, una riflessione pubblica protrattasi per anni sulla definizione di «umano». Fondata su una constatazione: «La contemporaneità - ha chiarito Francesca Bazoli, presidente dell’Accademia - mette in crisi i canoni tradizionali dell’umanesimo. Abbiamo cercato di ridefinirli, riflettendo in quest’ultimo anno sulle sue interrelazioni con economia e tecnica».

Il cervello. Proprio sul ruolo che lo sviluppo tecnologico svolge nella nuova definizionedell’umano si è articolato il confrontodi ieri. Netta la posizione del
neurobiologo Arnaldo Benini: non sarà la tecnica a determinare il futuro dell’uomo, ma le sue caratteristiche biologiche. «Noi siamo ciò che il cervello ci fa essere». La «dialettica» tra lobi frontali e sistema limbico è all’origine dell’antinomia con la quale ci confrontiamo: «Perché la ragione non è in grado di frenare il male che soltanto gli esseri umani commettono? Il male è una costituente della nostra natura, e non c’è cultura o fede che riesca a fermarlo». La ragione, anzi, usa spesso la sua energia per «disabilitare le passioni e le richieste della coscienza morale». La scienza, afferma Benini, impone di riconoscere che l’uomo si è affermato sulle altre specie anche perché «la ragione gli consente di praticare il male». Il futuro dell’umano rischia dunque di non essere diverso dal cruento passato, se non seguiremo il monito di Tzvetan Todorov: «La nostra sola speranzanonè di eliminare il male, ma tentare di
comprenderlo contenerlo, dominarlo».

D’accordo sulla «radicalità del male nell’esistenza umana» si dice Emanuele Severino. Mail filosofo sposta l’orizzonte oltre i confini della scienza, «un sapere ipotetico- deduttivo che non persegue la verità: parte da ipotesi presumibili e trae delle conseguenze, con un atteggiamento che, come quello religioso, rientra nell’ambito della fede». La riflessione scientifica, d’altro canto, si svolge all’interno di una più vasta fede, quella nella «manifestazione del mondo»: «La scienza muove dal modo in cui il mondo si presenta, e non vede che la mente è una parte all’interno di tutto ciò che si manifesta».

Il destino della tecnica, spiega Severino, può indicare, «entro certi limiti», il futuro dell’uomo. Un futuro che vede come meta provvisoria quel «paradiso della tecnica» che si raggiungerà quando quest’ultima, da strumento al servizio di forze in lotta tra loro (capitalismo, democrazia, cristianesimo...), diventerà padrona di tali forze, spinte a rafforzare senza limiti lo strumento tecnico. «Ma la tecnica, guidata dal sapere ipotetico della scienza, può dare solo una felicità ipotetica. Il paradiso della tecnica si rivelerà un inferno, perché mancherà la verità incontrovertibile della felicità posseduta». Solo allora, «si comincerà a pensare a un senso
diverso della verità».

La vita. Ad andare oltre la pura constatazione scientifica invita anche mons. Giacomo Canobbio, direttore dell’Accademia. Riflette sul rapporto tra la tecnica e «il desiderio umano di vincere la morte, che mette in evidenza la singolarità degli esseri umani. In tal senso, il futuro inscritto nella tecnica può essere letto come
antidoto alla rassegnazione di fronte alla morte». Un orientamento verso la pienezza di vita. «Perché il cervello è in grado di produrre cultura? Non si
deve vedere anche in questo il desiderio di vincere la morte attraverso qualcosa che rimanga, indizio di una ricerca di felicità che non è solo nel soddisfacimento dei bisogni?». È un desiderio che pare andare oltre i dettami dei neuroni, e spinge a ipotizzare una sua origine «altra», «una disposizione di Dio». La teologia, in questa visione, riacquista legittimità: sospinge oltre il dato empirico e «può costituire uno spunto critico nei confronti di teorie che potrebbero esporre gli uomini a ogni sorta dimanipolazione».