Fine e compimento della vita: una prospettiva interreligiosa - Giacomo Canobbio e Svamini Shuddhananda Ghiri

Relatore Giacomo Canobbio e Svamini Shuddhananda Ghiri

La prospettiva induista sulla morte, racconta Svamini Shuddhananda Ghiri, non pone al suo centro la fine, ma il percorso di vita. Riscoprire la vita è la strada maestra per giungere a un’esperienza del morire che non sia traumatica. Sono molte le parole dietro cui ci si nasconde per eludere tematiche difficili, rendendo tabù il passaggio tra un corpo animato e uno, apparentemente, inanimato. La tendenza diffusa è quella di esorcizzare la morte, quasi che, a rifiutarsi di nominarla, essa lasci in pace gli esseri umani. Nel poema epico indiano “Mahabharata” è narrata la vicenda di un certo Yudhisthira, il figlio del Dio Dharma, che, interrogato dal padre su quale sia la cosa più sorprendente del mondo, risponde che nonostante ogni giorno muoiano moltissime persone, coloro che restano credono di vivere per sempre.

Tutto l’induismo, religione intimamente connessa con la lingua sanscrita, potrebbe essere riassunto nel principio di Sanātana Dharma, dove la prima parola indica il sunto dell’ortoprassi per condurre una vita buona e l’aggettivo che accompagna significa “eterno”. Seguendo queste regole interiori, è possibile sfuggire sia da quella che diventa un’affannosa ricerca di senso non corrisposta dalla realtà sia dall’insorgere dell’abbaglio di essere dinnanzi a un tempo infinito, quasi si potesse esistere per sempre. Nascita e morte possono apparire come esperienze disgiunte, ma sono da considerare come transizioni all'interno di un andamento ciclico del tempo e della vita. Negli Inni presenti nel Veda si nota che la tradizione induista non tenta di estromettere la morte dalla vita, ma di considerare la morte come parte integrate della vita, un frammento in eterno collegamento ad altri mille frammenti.

La prospettiva cristiana, analizzata da Giacomo Canobbio, condivide con l’induismo l’urgenza di relazionare la morte con la vita: a seconda della tipologia di esistenza che si conduce, cambia la visione della fine ed essa acquisisce valore e disvalore, correlandosi con la specifica storia di ogni individuo. Non c’è vivente che non si ribelli di fronte alla morte, si tende piuttosto a occultarla, ed è un dato di fatto che, una volta entrati nella vita, non si vorrebbe mai uscirne. La consapevolezza dell’inevitabilità della fine porta, emotivamente, a rifiutare la constatazione che “si dovrà morire”. I processi di razionalizzazione aiutano a elaborare la morte e a vivere il lutto, attribuendogli il corretto significato. Anche nella Bibbia la morte viene narrata in molti modi, che lasciano affiorare la soggettività di chi l’affronta. La morte attesa, come nel caso di alcuni mistici, per esempio San Paolo, o dei radicalmente delusi dalla vita: i primi perché la vedono come porta che apre alla visione beatificante di Dio; gli altri perché la percepiscono come pacificante. La

Mercoledì, 31 Maggio 2023 | Aurora Ghiroldi