A letto del malato:curare la relazione - prima parte

Relatore Ottavio Di Stefano

Ottavio Di Stefano: che cosa significa curare?
Dall’approccio riduzionistico della medicina novecentesca si è passati a un approccio sistemico nella convinzione che la cura abbia a che vedere con qualcosa di complesso, di intrecciato, in cui il medico è coinvolto personalmente.

Come scrive Gadamer, egli deve «tastare con la mano», avere un contatto fisico, fatto di premura. Al di là degli esiti di laboratorio, egli deve prestare attenzione alla visita che ha un effetto catartico. Fra la malattia e ciò che prova il malato c’è una discrepanza rilevante. Non basta la diagnosi della prima. Occorre entrare nell’esperienza di vita della persona che si trova in un contesto e in una rete di relazioni. Il medico deve essere consapevole della relazione che viene a stabilire: è una relazione oggettivamente asimmetrica, ma nello stesso tempo basata sulla reciprocità. Esiste un dislivello di funzioni, ma anche un orizzonte comune. L’ospedale deve poi essere in relazione col territorio. Il 50% dello stato di salute è legato a fattori socio-economici. La comunità aiuta a vivere più a lungo, mentre la solitudine uccide al pari del fumo e dell’alcoolismo. Il dolore condiviso sembra ferire meno. I medici stessi devono rimanere in relazione fra loro, anche in luoghi fisici di aggregazione. L’empatia è un pericoloso miraggio, come sostiene Gilberto Corbellini? Pare proprio di no. I pesi condivisi si portano più facilmente.

Bibliografia:

  • “The New England Journal of Medecine”, vari numeri.
  • Luigi Alici, Il corpo tra limite e ferita, in: Le neuroscienze e l’umano, Unigreg 2017.
  • Martin Franck, Il potere della gentilezza, Milano, Feltrinelli 2016.
  • Hans-Georg Gadamer, Dove si nasconde la salute?, Milano, Cortina 1994.

Sabato, 09 Febbraio 2019 | Luigi Voltolini