I nuovi fronti della formazione: la paideia sfidata

Nel quadro degli incontri promossi dall'Accademia cattolica sul tema: Verso quale umanesimo? il Prof. Antonio Bellingreri, ordinario di pedagogia presso l’università di Palermo, e la Prof.ssa Chiara Giaccardi, ordinario di scienze della comunicazione presso l’Università Cattolica di Milano, dialogheranno sul tema: I nuovi fronti della formazione: la paideia sfidata.

Sfide postmoderne ad una paideia umanistica - di Antonio Bellingreri

1. Vedo e intendo la paideia classica di tradizione umanistica come una prospettiva filosofica e pedagogica il cui fuoco è nella nozione di persona come evento formativo. Nella mia riflessione prendo in esame la sfida radicale alla paideia portata dalla cultura postmoderna, il cui esito è una vera e propria dissoluzione di questa nozione. Faccio riferimento a Foucault, a Derrida, a Rorty; anche se il dialogo critico serrato è condotto con il pensiero debole di Vattimo. La radicalità della sfida impone di ritrovare il senso originario di tale paideia, risemantizzando in particolare quello di persona.

2. Il pensiero debole porta a sintesi la critica che i maestri del sospetto hanno rivolto alla pretesa del soggetto moderno di centrarsi su di sé e di porsi come padrone del suo destino. Sembra esprimere la Weltanschauung spontanea degli uomini del nostro tempo nelle società occidentali della tarda modernità; ma qui lo interpreto innanzitutto come posizione filosofica, in quanto tale definita da tre tesi di fondo. Propongo di denotare la prima tesi misconoscimento del reale: «Il mondo vero è diventato una favola». La seconda tesi è quella che enuncia il misconoscimento dei volti: «dietro i sembianti, nessun volto». La terza tesi è quella chiamo misconoscimento delle differenze: nelle società plurali tardomoderne, «immensi cantieri di sopravvivenze», le differenze culturali ed etiche sono assolutizzate, riescono pertanto in una (paradossale) in-differenziazione.

Interpreto questa prospettiva facendo ricorso alla definizione di idealismo fantasmagorico, una forma di antirealismo nel quale sono prevalenti le figure della dissoluzione. Questa dialettizzazione non deve impedirci di apprezzare il contributo positivo del pensiero debole: le analisi di Vattimo aiutano a pensare il senso della finitezza del soggetto, la sua intrascendibile storicità, e l’esser-effimero di ogni ente. A mio modo di vedere, però, un tale contributo può essere ricompreso a condizione di distinguere in questa prospettiva l’esperienza postmoderna, coscienza della situazione storica di trapasso che stiamo vivendo, dal postmodernismo, deriva ideologica che porta a vedere il nichilismo come «destino dell’essere», nell’epoca attuale.

Si tratta di una ricomprensione del pensiero debole che è presente in molti autori che sono orientati verso una forma di realismo critico denotato comunemente «nuovo realismo».

3. Quest’ultima prospettiva, ancorché molto interessante, presenta però un limite critico, tutt’altro che secondario per la nostra riflessione: manca in esso un’ontologia della persona, che da alcuni di questi autori è intesa alla stregua di «tutti i fenomeni naturali», da altri è vista come «realtà sociale».

Istituire un’ontologia della persona è essenziale per ritrovare il senso originario della paideia. Ora la prima affermazione di principio è quella che giustifica, ossia rende evidente, il nesso tra avvenimento della persona e riconoscimento del reale: riconoscere la realtà nella sua duplicità di senso implica infatti di far vivere del soggetto la parte più viva e intima, che è l’intelligenza e la ragione; che è lo spirito, «vivere da una certa profondità» commisurata al peso ontologico ed etico d’ogni ente. Per tale giustificazione è necessaria la fondazione offerta da una fenomenologia della percezione, che permette di intendere il senso della superficie come venire in superficie di una profondità, rovesciando la prima delle tesi di fondo dell’idealismo fantasmagorico. Esistono oggi caratteristiche ferite educative, che dispongono piuttosto ad esistenze infrapersonali: portano l’ottundimento dell’intelligenza e una inettitudine razionale, riescono nella mortificazione dello spirito; un soggetto così è pronto per la «banalità del male».

Il riconoscimento della realtà dispone poi al riconoscimento dei volti o forse meglio della persona come «effige», massima personalizzazione dell’infinito in una presenza singolare. Per approfondire adeguatamente questo aspetto, reputo necessario invece ricomprendere il senso dell’ermeneutica, oltre l’interpretazione del pensiero debole che vede nel nichilismo il suo aspetto costitutivo. Per mio conto la vedo e la intendo in un rapporto di circolarità dialettica con la fenomenologia: ora, proprio la prospettiva fenomenologico-ermeneutica consente un approfondimento dell’ontologia della persona in senso storico ed esistenziale. Il volto, in quest’ottica, l’identità della persona, è forma formata, una consegna e un appello, che è la situazione originaria e il suo ethos; e forma formans, una personalizzazione dell’esistenza assunta responsabilmente. Questa crescita del soggetto è opera personale in senso eminente; può accadere però all’interno di relazioni significative, segnate da quanto a me piace chiamare un dialogo esistenziale centrato sull’empatia.

In questa ontologia della persona assume rilievo e centralità la teoria pedagogica del bisogno fondamentale di riconoscimento; tutte le imprese educative sono un tentativo di portare una qualche risposta ad esso. È il bisogno che ogni persona ha, per essere, di essere riconosciuta nell’essere; quanto rivela la sua natura di esser-amata (esser-l’amata). Ed è il bisogno di essere aiutati a riconoscere l’essere, per vivere in prime persona negli universi simbolici ai quali siamo consegnati. È infine il bisogno di un riconoscimento reciproco a partire dalle differenze; quanto esige di vedere ed intenderle come differenze di una comune umanità e necessita di apprendere ad elaborare il perché delle differenze. Questa terza articolazione della categoria di riconoscimento trova il suo orizzonte di senso in una «ragione relativa»; si concretizza nella pratica di una «comunicazione autentica», intraculturale e interculturale, in famiglia e a scuola.

PROF. ANTONIO BELLINGRERI
Ordinario di Pedagogia generale e sociale presso l'Università degli Studi di Palermo. Attività didattica: Scienze della Formazione primaria: titolare di Pedagogia generale e sociale e di Pedagogia della famiglia; Scienze pedagogiche: titolare di Filosofia dell'educazione. Dal gennaio 2013 Condirettore della rivista “Pedagogia e Vita” (Ed. La Scuola, Brescia). Premio Italiano di Pedagogia 2014 della S.I.Ped. – Società Italiana di Pedagogia per l’opera Pedagogia dell’attenzione. È iniziatore e tuttora dirige i Cenacoli Edith Stein di vita e cultura cristiana.

Principali pubblicazioni:

  • Per una pedagogia dell’empatia, Milano, Vita e Pensiero, 2005.
  • La cura dell’anima. Profili di una pedagogia del sé, Milano, Vit e Pensiero, 2010.
  • Pedagogia dell'attenzione, Brescia, La Scuola, 2011.
  • La famiglia come esistenziale. Saggio di antropologia pedagogica, Brescia, La Scuola, 2014.
  • Imparare ad abitare il mondo. Senso e metodo della relazione educativa, Milano, Mondadori, 2015.

Chiara Giaccardi, prof. ordinario di Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, insegna Sociologia e Antropologia dei Media e dirige la rivista Comunicazioni Sociali. Collabora col quotidiano Avvenire. È direttore scientifico del corso Anicec (CEI-Università Cattolica di Milano) per animatori della comunicazione e della cultura.

Tra le pubblicazioni recenti Abitanti della rete (Vita e Pensiero 2010), La comunicazione interculturale nell'era digitale (Il Mulino 2012), I media e la scuola: tra conflitto e convergenza (Erickson 2012), Generativi di tutto il mondo unitevi (con M. Magatti, Feltrinelli 2014); Abitare il presente (Edizioni del messaggero 2014).

Caratteristiche dell'evento

Inizio evento Giovedì 18 Febbraio 2016 | 18:00
Luogo Sede Accademia Cattolica